Tutti promossi. I «compiti a casa» assegnati dal premier ai vari ministri, in concreto lo stato di avanzamento degli obiettivi e degli investimenti collegati al Pnrr, sono stati tutti «valutati positivamente». Almeno in parte è una valutazione politica: se ci sono ritardi, come è inevitabile, non è interesse del governo proclamarlo ad alta voce proprio mentre a Bruxelles si stanno completando le verifiche per quanto riguarda la prima tranche del Pnrr, i 24,1 mld che arriveranno alla fine del mese.

LA TABELLA DI MARCIA prevede di raggiungere 100 obiettivi entro la fine dell’anno. Ai primi 45, da raggiungere entro giugno, è collegata una rata da 24,13 mld. Agli ulteriori 55, da conseguire entro il 31 dicembre, sono associati ulteriori 21,83 mld. Tra gli obiettivi del primo semestre 3 sarebbero già stati centrati. La «ricognizione» di Draghi riguarda però soprattutto gli investimenti: il fronte più debole è quello. Sono stati emanati per ora 113 tra bandi e avvisi di gara, per uno stanziamento complessivo di 27,86 mld. Del totale restano ancora in sospeso 48 bandi che rappresentano però il grosso del pacchetto. Restano da distribuire 23,17 mld.
Con i fondi che dovranno essere stanziati nel corso dell’anno gli investimenti complessivi dovrebbero raggiungere i 42 mld. Nel 2021 la spesa produttiva era di 14,2 mld ma sullo stato di quegli investimenti mancano rapporti ufficiali. Sembra che siano stati portati a termine solo il Superbonus, i progetti legati alla Transizione 4.0 e le tratte di Alta Velocità che erano già state avviate. È la conferma del fatto che la vera difficoltà del Pnrr sta, come da tradizione italiana, nello spendere i fondi a disposizione. Alla quale se ne è aggiunta un’altra: i rincari dei materiali, che faranno quasi certamente lievitare il costo dei progetti. Il ministro delle Infrastrutture e della mobilità Giovannini è stato il primo a far risuonare l’allarme chiedendo flessibilità sui prezzi perché altrimenti i progetti si bloccheranno dopo la fase delle gare e distribuzione degli appalti.

IL PNRR SI INTRECCIA così con la vera, imprevista difficoltà che ostacola la corsa di Draghi: la crisi energetica e il conseguente rincaro delle bollette ma anche del costo delle materie e in generale l’avvio di una spirale inflattiva già innescatasi. Ieri mattina Salvini è andato a parlarne con il ministro dell’Economia Franco e ha chiesto lo stanziamento di altri 5 mld per calmierare l’impennata delle bollette di marzo. Poco dopo arriva Conte con un post Fb sul medesimo tono: «Ora è necessario rafforzare il sostegno a famiglie e imprese. È necessario uno scostamento di bilancio per tamponare il caro bollette. Serve semplicemente coraggio, non pannicelli caldi e palliativi».

Il problema è che non serve solo «coraggio», e questo spiega la resistenza di Draghi, che alla fine probabilmente dovrà cedere di fronte all’urgenza della situazione e alle pressioni non solo di Lega e M5S ma di tutti i partiti di maggioranza. Non è infatti pensabile continuare a stanziare 5mld ogni 3 mesi oltretutto senza riuscire a eliminare il problema ma arrivando solo a calmierarlo. Draghi, che sin qui aveva sperato, come del resto mezza Europa a partire dalla Germania, in una crisi transitoria con l’impennata destinata a esaurirsi entro marzo, dovrà dunque cercare una soluzione più strutturale e dovrà farlo sia in Italia, con un intervento complessivo sugli oneri aggiuntivi, sia a livello europeo, con la messa a punto di una strategia comune almeno di una parte dei Paesi Ue. In caso contrario sarebbero a rischio sia la ripresa che lo stesso Pnrr.

IERI IL PREMIER HA DATO una dimostrazione concreta dello stile con il quale ripartire dopo il rallentamento dovuto alla sfida del Colle. Alla Lega, che ha disertato il voto sulla Dad con Giorgetti che non ha proprio partecipato alla riunione, ha risposto con rispetto ma anche con fermezza: «Capisco dubbi e perplessità ma così si deve fare». I ministri leghisti hanno risposto apprezzando la tendenza a riaprire tutto ma senza poter votare le norme «discriminatorie» sulla Dad. Il Pd si è subito detto «preoccupato» per la situazione a rischio di instabilità ma in realtà sul fronte politico, incidenti di percorso a parte, Draghi ha poco da temere. La minaccia non arriva dal «teatrino della politica» ma dalla sala della realtà, dunque prima di tutto dalla crisi energetica, dall’inflazione e dalle scelte che questa imporrà alla Bce.