Quando parla della campagna vaccinale italiana contro il Covid-19, Mario Draghi mette il petto in fuori. «La campagna procede più spedita della media europea», ha spiegato ieri durante l’informativa al Senato. «L’86% della popolazione sopra i 12 anni ha ricevuto almeno una dose e l’81% è completamente vaccinata». In Italia ogni abitante ha ricevuto in media 1,45 dosi mentre la media dell’Unione Europea è ferma a 1,3. Ma si tratta di una corsa con il freno a mano tirato. Tutti i paesi europei si stanno scontrando con lo zoccolo duro dell’esitazione vaccinale e nemmeno il green pass obbligatorio ha fatto impennare le somministrazioni in Italia. Nell’ultima settimana, le prime dosi somministrate sono state 380 mila, il 5% in più rispetto alla settimana precedente ma l’8% in meno rispetto a due settimane fa. A questo ritmo serviranno altri cinque mesi per vaccinare 8 milioni di persone e raggiungere il 90% della popolazione – soglia necessaria per allentare le misure secondo il generale Figliuolo. Cioè ben oltre la fine dello stato d’emergenza, per ora fissata al 31 dicembre.

LA DIMOSTRAZIONE che le vaccinazioni proseguono a rilento arriva dalla rinnovata generosità vaccinale italiana, altro fiore all’occhiello del discorso del premier ai senatori. «L’Italia ha recentemente triplicato le donazioni di vaccino, da 15 a 45 milioni di dosi, da distribuire principalmente attraverso il meccanismo Covax» entro il 2021. «A oggi – ha proseguito Draghi – abbiamo assegnato più di 11 milioni di dosi». Poi c’è la questione dei brevetti. «Al Global health summit dello scorso maggio abbiamo firmato la Dichiarazione di Roma, che ci impegna a migliorare la condivisione di dati e conoscenze a livello globale», ha ricordato Draghi.

Tutto vero, ma come fa notare il ricercatore Vittorio Nicoletta, italiano e data scientist dell’università di Laval (Canada), le donazioni dell’Italia riguardano le dosi avanzate del vaccino AstraZeneca che le regioni non chiedono più. «Dopo la causa europea con l’azienda e il successivo patteggiamento, l’Italia doveva ricevere dall’azienda circa 19 milioni di dosi entro la fine del 2021. Visto che le regioni hanno praticamente abbandonato questo vaccino, stiamo donando all’estero le dosi che ci sta consegnando l’azienda». Sempre meglio che tenerli in frigorifero, in ogni caso. «Per arrivare ai 45 milioni di dosi promessi da Draghi però non bastano», osserva Nicoletta. «Forse nel conto Draghi include anche i milioni di dosi Johnson & Johnson che avremmo già dovuto ricevere ma non sono mai arrivati» e le dosi di AstraZeneca previste per il 2022? Difficile dire: «sarebbe utile se a comunicare i dati ufficiali fosse la Farnesina, che quei dati li ha».

NON È UNA CONSOLAZIONE, ma l’Italia non è l’unica ad essere indietro nella cooperazione vaccinale. Il fondo Covax creato da Oms e fondazioni filantropiche, che avrebbe dovuto raccogliere 2 miliardi di dosi entro il 2021 a favore di paesi a basso e medio reddito, per ora ne ha consegnate 382 milioni, meno di un quinto.

Anche sul piano della condivisione delle conoscenze non ci sono passi avanti. L’Ue non ha cambiato posizione sulla moratoria sui brevetti proposta da India e Sudafrica e l’ennesimo round negoziale al Wto su questo tema è andato in fumo il 14 ottobre. Così come è tuttora andato deserto il «Covid19 Technology Access Pool» dell’Oms, un accordo che prevedeva la condivisione volontaria di conoscenze e invenzioni utili nella lotta al Covid. Nessuno Stato membro finora ha contribuito al Pool. Avrebbe potuto farlo l’Italia, che grazie alla partnership tra la Reithera e l’istituto Spallanzani ha sviluppato un vaccino che potrebbe essere utile in molti paesi, finito su un binario morto.

L’EFFETTO GREEN PASS per ora si vede soprattutto sui test. Dal 14 ottobre, i pass ottenuti grazie ai tamponi sono all’incirca raddoppiati, sfiorando il milione nella sola giornata di lunedì. Nonostante questo capillare tracciamento, i casi però non sembrano aumentare come ci si aspetterebbe in questo periodo dell’anno. «Con l’arrivo dell’inverno e il rilassamento di alcune misure, è prevedibile che l’esposizione al rischio aumenti nelle prossime settimane», spiega Lucia Bisceglia, presidente dell’Associazione Italiana di Epidemiologia. «Non possiamo non tenere conto di quanto sta succedendo nel Regno Unito». Succederà anche da noi? «Per ora si inizia a vedere qualche leggero aumento dei casi ma tutto sommato la situazione è sotto controllo. È possibile però che ci siano ritardi di notifica e che si debba attendere qualche giorno per capire bene l’effetto di queste novità».