Per fermare la girandola di ipotesi sulle nuove restrizioni, ieri è intervenuto direttamente il premier Mario Draghi: «Nulla ancora è stato deciso: le decisioni verranno prese sulla base dei dati dell’ultimo sequenziamento per vedere la velocità di diffusione di Omicron», ha detto incontrando i giornalisti dopo il colloquio romano con il neo-cancelliere tedesco Olaf Scholz.

Rimandare tutto alla cabina di regia di giovedì 23 dicembre serve soprattutto a prendere tempo. La nuova «indagine rapida» per la stima della diffusione delle varianti virali, i cui risultati sono attesi tra oggi e domani, non aggiungerà molto. Scoprire che la variante Omicron si diffonde anche da noi a doppia velocità sarebbe stata una notizia un mese fa, non certo oggi. Piuttosto che organizzare due indagini rapide in quindici giorni sarebbe stato più utile non aspettare oltre due mesi – tanto il tempo trascorso tra le indagini del 28 settembre e del 6 dicembre – per farne una. Per il monitoraggio non serve nemmeno sequenziare i tamponi, perché la variante Omicron si riconosce anche a partire dal risultato del test molecolare. I dati che attende Draghi sarebbero dunque già disponibili, a volerli trovare.

SE PURE LA VARIANTE da noi si rivelasse meno diffusa che altrove, cambierebbe poco: il tasso di crescita dei casi (+39% in una settimana) è già abbastanza elevato da rendere necessarie nuove misure. Per fare un paragone: nell’autunno 2020, quando il numero di nuovi casi e di ricoverati in terapia intensiva era all’incirca lo stesso di oggi, il Dpcm del 24 ottobre 2020 fissò alle 18 l’orario di chiusura di bar e ristoranti e al 75% la percentuale di didattica a distanza per scuole medie e superiori.

Difficilmente il governo Draghi ricorrerà di nuovo a simili provvedimenti: le restrizioni alle attività economiche e la didattica a distanza sono state escluse programmaticamente dal premier sin dal suo insediamento a palazzo Chigi. Non è un mistero che Draghi preferirebbe puntare a misure più punitive per chi non è vaccinato. Dopo il green pass rafforzato, tuttavia, è rimasto poco margine per accanirsi ancora. L’effetto incentivante dei provvedimenti passati inoltre si va affievolendo di nuovo: dopo un picco di quasi 30 mila prime dosi il 6 dicembre, nell’ultima settimana le nuove vaccinazioni tra i maggiorenni sono state meno di 20 mila al giorno.

UNA DELLE IPOTESI circolate è di accorciare la durata del green pass a sei mesi per spingere le persone ad affrettarsi con la terza dose. Se questa sarà la decisione, da qui al 31 gennaio scadranno i green pass di circa 15 milioni di persone, che avranno bisogno di una dose di richiamo e potrebbero generare qualche problema di disponibilità di fiale. Per vaccinarle tutte serviranno i 5 milioni di dosi che oggi sono nei magazzini delle regioni, più i 10 milioni di dosi che la Pfizer dovrebbe consegnare mensilmente all’Italia nel primo trimestre del 2022. Così non ne rimarrebbero altre per vaccinare i sei milioni di persone che devono ancora ricevere la prima dose. In ogni caso, una misura come questa darà risultati solo sul medio periodo, e non avrà certo un impatto decisivo per le vacanze di Natale e i primi giorni del 2022.

IN ATTESA DELLE MOSSE di Draghi, molte regioni hanno deciso di muoversi in anticipo. Il provvedimento più gettonato da sindaci e governatori è anche quello meno efficace, cioè le mascherine all’aperto. Dal 23 saranno obbligatorie a Roma, con raccomandazione di usare le Ffp2 su bus e metro. L’obbligo è già in vigore in tutta la Campania, in Sicilia e nelle regioni «gialle». A Firenze e Torino vale per il centro storico, così come a Milano, dove il sindaco Beppe Sala ora riflette se estenderla a tutta la città.

Tutti però attendono istruzioni da palazzo Chigi, dove il premier tentenna. Alla sua nomina, Draghi non immaginava di ritrovarsi nelle stesse condizioni del suo predecessore Conte. Assicurare l’efficienza della campagna vaccinale, pensava l’ex-capo della Bce, sarebbe stato sufficiente a scongiurare nuove ondate. La presunzione che i vaccini avrebbero definitivamente ridotto l’impatto della pandemia era ragionevole, ma solo a patto che tutto il mondo ne avesse potuto beneficiare per evitare lo sviluppo di nuove varianti. Gli squilibri globali hanno fatto in modo che le cose andassero diversamente.

A PARTE I VACCINI, l’Italia inizierà il 2022 con all’incirca le stesse fragilità con cui chiuse il 2019. L’apparato dedicato al tracciamento dei contatti non ha risorse sufficienti e con l’incidenza attuale non è in grado di circoscrivere i nuovi focolai. Negli ospedali, il personale sanitario limitato obbliga a rallentare l’attività ordinaria per aprire nuovi reparti Covid e non sono state nemmeno cambiate le regole dei concorsi al fine di reclutare medici formati all’estero. Di fronte a un virus capace di mutare, a renderci fragili è la nostra immobilità.

Errata Corrige

Prima di emanare nuove restrizioni, Draghi attende i dati sul sequenziamento della variante Omicron, partito in ritardo. L’«indagine rapida» a questo punto non aggiungerà molto. Si punta a incentivare prime dosi e richiami ma i vaccini potrebbero non bastare. Gli squilibri globali stanno vanificando l’effetto dei vaccini nella gestione della pandemia