Non cambierà nella strategia «accomodante» della Banca Centrale Europea (Bce) nei prossimi tre o sei mesi. Ma un elemento è certo: Mario Draghi e il consiglio direttivo stanno lavorando per un suo ridisegno. Fino a marzo 2017 Francoforte continuerà ad acquistare 80 miliardi di euro di titoli di stato «o oltre se necessario» ha detto Draghi. Probabilmente di altri 6-9 mesi. Fino a quando l’inflazione non tornerà a un livello sostenibile nell’Eurozona. E cioè poco sotto il 2%, come da statuto della Bce. Stando alle stime economiche diffuse ieri dalla Bce nel 2016 il Pil crescerà dell’1,7% (era all’1,6% a giugno), come nel 2017, 1,7% nel 2018. L’inflazione, invece, resterà a +0,2% nel 2016 e farà un balzo a +1,2% nel 2017, 1,8% nel 2018. Questa è scommessa di Draghi, non facile da vincere in un’epoca di deflazione, di bassi salari e consumi non soddisfacenti. Si spiega così l’invito alla Germania di alzare i salari. «Le argomentazioni a favore di una crescita più rapida dei salari sono incontestabili», ha detto. Il problema è che dovrebbe crescere anche la produttività, alla quale i salari sono legati, come accade in Italia. Questo non accade e, anzi, continua il calo delle retribuzioni, mentre aumenta il numero delle ore lavorate. A questo enigma la strategia della Bce non sembra riuscire a rispondere. Rispondendo alle domande dei giornalisti Draghi ha rivolto un appello alla Germania – il pivot dell’Eurozona, nel bene e nel male – a usare i margini di bilancio enormi accumulati negli anni della grande crisi e impegnarli nella «crescita». Operazione a cui Merkelandia si è sempre sottratta, nonostante i ripetuti richiami della stessa Commissione Ue. «Minori surplus di parte corrente da parte della Germania, o per l’intera area dell’Euro come aggregato, sarebbero auspicabili. Sono però perplesso quando si parla di ridurre questo avanzo. Non siamo in un’economia pianificata il surplus non si abbassa spingendo un bottone. Ci si dovrebbe adoperare per trasformare la competitività delle aziende in domanda interna». Cosa che regolarmente non avviene.

La «crescita» invocata anche ieri da Draghi dipende da alcuni fattori: «riforme strutturali», cioè politiche supply-side di desalarizzazione e precarizzazione del lavoro, di aumento della concorrenza e privatizzazioni, e investimenti in infrastrutture pubbliche «vitali per aumentare gli investimenti e creare nuovi posti di lavoro». Nell’elenco di rito c’è anche il piano Juncker, un fantasma. In Italia queste indicazioni si sono per lo più tradotte nelle grandi opere o nei progetti contenuti nello «Sblocca Italia». Al di là del modello di sviluppo che questi investimenti comportano, non si può certo dire che queste iniziative abbiano corrisposto alla crescita invocata. Anche perché bisogna pur rispettare i parametri del Fiscal Compact su deficit e debito pubblico. E gli stati, ancora l’Italia, sono affamati di «flessibilità» che la Commisssione Ue fa difficoltà a concedere anche perché alla lunga contrasta con la missione austera che si è data. Di crescita della spesa pubblica non se ne parla. Molti governo l’hanno aumentata con benefici minimi. Non è tanto il suo volume – ha detto Draghi – ma l’uso che se ne fa». Nessuno, e non solo in Ue, sembra avere capito fino ad oggi i criteri da seguire. Forse nemmeno Draghi.

Il rallentamento della crescita, e la moltiplicazione delle diseguaglianze, è stata la preoccupazione di rito denunciata anche nel documento conclusivo del G20 in Cina. Draghi ha rivolto un pensiero speranzoso anche a questo testo. Lo ha definito «incoraggiante».Non è molto: si resta nel perimetro del già conosciuto. Nel frattempo le borse, che attendono un allargamento del «Qe», hanno dato segnali di impazienza. Solo il rialzo del greggio dopo le scorte settimanali degli Stati Uniti in calo, è riuscito a contenere il passivo. Milano ha chiuso con +0,48%, Madrid con l’1%, male Parigi e Francoforte. Speravano nell’annuncio di Draghi per continuare il massaggio cardiaco che le tiene in vita. Sta diventando sempre più chiaro che l’Eurozona è imprigionata in una battaglia perdente contro il rallentamento della crescita , mentre i livelli statici di inflazione continuano a mettere in discussione la credibilità della Bce. Oltre alla modifica del «Qe», l’ipotesi del «denaro dall’elicottero»: dare soldi direttamente ai cittadini Ue, non agli stati o alle imprese. Draghi l’ha esclusa.