Le file davanti alle agenzie con gli anziani che svenivano dal caldo. Nel giugno 2015 le immagini dalla Grecia fecero il giro del mondo. La decisione di chiudere le banche fu presa dalla Banca Centrale europea che congelò la liquidità di emergenza a disposizione degli istituti ellenici. Dal 28 giugno fino al 20 luglio i greci non poterono formalmente accedere ai loro conti. Nel mezzo, il 13 luglio ci fu l’accordo tra Tsipras e l’Europa con la definizione del piano di riforme «lacrime e sangue» in cambio di 86 miliardi di nuovi crediti. La vittoria della Troika nel braccio di ferro col governo più a sinistra d’Europa.

SU QUESTE «PAGINE DI STORIA» si stanno però aprendo nuovi squarci di verità. Solo da poco infatti si è saputo che prima di compiere una scelta così grave Mario Draghi chiese un parere a un’agenzia privata per sapere se, statuto Bce alla mano, fosse in suo potere chiudere i rubinetti alle banche di un paese sovrano. Un parere che nessuno ha mai potuto vedere. E che potrebbe contenere sorprese tali da far vacillare la stessa Banca Centrale europea.

LA SCOPERTA È dell’europarlamentare della Linke Fabio De Masi, 36enne figlio di un sindacalista italiano emigrato in Germania. Che sta portando avanti una battaglia perché questo parere sia reso pubblico. Lo fa assieme a Yanis Varoufakis, che proprio in quei giorni del 2015, dopo aver vinto assieme a Tsipras e Syriza il referendum il 5 luglio contro il primo piano europeo, si dimise da ministro dell’Economia lasciando il posto al più malleabile Euclid Tsakalotos – e al movimento Diem25 (Democracy in Europe 2025) che sta raccogliendo le firme per chiedere alla Bce di spiegare cosa successe veramente nell’estate più calda dell’Euro.

Un appello già sottoscritto da due candidati alla presidenziali in Francia, il socialista Francois Hamon e Jean-Luc Melenchon, e da due economisti come James Galbraith e Jeffrey Sachs. Varoufakis e De Masi terranno una conferenza stampa domani mattina al Parlamento europeo di Bruxelles.

IL DINIEGO DELLA BCE a rendere pubblico il parere viene motivato con ragioni alquanto strane: rispetto della privacy dello studio privato che ha redatto il parere. Ma Fabio De Masi ha informazioni molto diverse: «Da fonti interne alla Bce ho saputo che quel parere non era totalmente favorevole e dunque io credo che sia questa la vera ragione per la quale l’opinione pubblica non deve sapere che Draghi non aveva il potere di chiudere le banche: è chiaro che Draghi fece questa forzatura per obbligare il governo greco ad accettare il memorandum della Troika. Draghi ha avuto un’arma enorme nelle sue mani per costringere Tsipras».

PER TENTARE di costringere la Bce a tornare sui suoi passi, De Masi si affida al professore di diritto comunitario di Brema Andreas Fisher-Lescano, uno che nelle battaglie contro l’austerità ha già registrato parecchie vittorie. «Fisher-Lescano sta preparando il ricorso alla Corte di Giustizia europea basandosi sul principio europeo del Foi, Freedom of information». I tempi saranno comunque lunghi. «La Bce, avrà due settimane per rispondere, in caso di ulteriore diniego devono passare due mesi per andare alla Corte di Giustizia e fino a due anni per il verdetto, anche se potremmo chiedere un procedura più veloce per un caso come questo».

LA VERA PAURA della Troika era quella della ristrutturazione del debito chiesta da Varoufakis – e a quel tempo anche di Tsipras – perché non sostenibile. Questo mise immediatamente in allarme il falco tedesco Schauble che appoggiò infatti la decisione di Draghi di chiudere le banche. «Varoufakis ha sempre sostenuto che non voleva ulteriori crediti, con la revisione del debito la Grecia non ne avrebbe avuto bisogno. Invece la Troika vive di questa continua minaccia. In questo modo ha imposto le politiche omicide di austerità a tutti i paesi periferie d’Europa», continua De Masi. «L’austerità è stata un incubo per l’Europa. Noi vogliamo che finisca al più presto. Draghi passa per un pragmatico, per quello che ha salvato l’Euro con il Quantitative easing, ma non è così: è andato oltre il mandato dello Statuto della Bce sulla politica monetaria e ha sempre appoggiato le politiche dell’austerità», conclude.

VAROUFAKIS AGGIUNGE due particolari non trascurabili: «Il parere chiesto ad uno studio privato da Draghi è stato pagato con soldi pubblici». E ancora più importante: «Sdoganata quella decisione, ora potrebbe toccare ad un altro Paese vedersi chiudere le banche dalla Bce». Magari all’Italia.