Draghi mette in guardia dai rischi connessi ad una fuoriuscita dall’euro, soprattutto per quei paesi, come l’Italia, che fanno registrare una posizione debitoria nei confronti dell’Eurosistema. Tira fuori i saldi di Target 2 il presidente della Bce.

Per spiegare che dalla moneta unica si può anche andar via, ma solo dopo aver regolato la propria posizione. Una sortita che fa il paio con l’inasprimento della pressione di Bruxelles sui Paesi periferici, affinché adottino nuove misure d’austerità nei prossimi mesi, e con le ultime parole di Angela Merkel sull’ipotesi, comunque non nuova, di un’Europa a due velocità.

Ricordiamo che sull’Italia grava la minaccia di una nuova procedura d’infrazione per deficit eccessivo, mentre i rendimenti sui nostri titoli di Stato fanno registrare una nuova impennata e non si escludono nuovi attacchi speculativi al nostro debito (cosiddetto) sovrano.

Ma cos’è Target 2? L’acronimo di «Trans-European Automated Real-Time Gross Settlement Express Transfer System». Niente paura: parliamo di una cosa un tantino più semplice del nome che porta. L’esistenza di uno spazio economico comune e di un’unica moneta, ha imposto la definizione di un sistema condiviso per i pagamenti inter-bancari, una piattaforma su cui le banche centrali nazionali possono scambiarsi, in tempo reale, il denaro che serve per le transazioni transfrontaliere, per regolare pagamenti tra i vari Paesi della zona Euro (partecipano anche Bulgaria, Danimarca, Polonia e Romania).

Un esempio. Tizio vuole comprare un’auto usata vista su un noto sito di annunci. L’auto si trova in Germania. Stabilito il prezzo, si reca in banca, per accreditare l’equivalente sul conto del venditore tedesco. Essendo coinvolti due paesi diversi, l’operazione richiede un passaggio intermedio. La banca italiana bussa alla porta di Bankitalia, che accredita l’equivalente presso Bundesbank, che accrediterà sul conto del venditore tedesco. Ne deriva, com’è facile intuire, una passività per gli italiani ed un attivo per i tedeschi. Se moltiplichiamo questa operazione per 350 mila, tanti quanti sono i pagamenti che giornalmente vengono regolati nel sistema, arriviamo ad una cifra che si aggira intorno ai 2 mila miliardi di euro al giorno. Siamo ai famigerati «saldi di Target 2», che, relativamente a Germania e Italia (e Spagna), tornano a divaricarsi vistosamente.

Ma cosa sta succedendo in eurolandia, visto che le bilance commerciali dei Paesi membri non sono state mai così equilibrate? C’entra il Quantitative easing e l’immissione di nuova moneta. E la direzione che prende la stessa. Ricordiamo che le decisioni sull’acquisto di titoli di Stato ed altri asset finanziari spettano alla Bce, ma sono le banche centrali nazionali a farsi carico materialmente dell’operazione. Ognuno compra i propri bond, insomma, giovandosi dei relativi rendimenti, se ci sono, accollandosi eventuali perdite, se il titolo va giù. Nondimeno, se Bankitalia, per stare al nostro Paese, compra solo titoli italiani non significa, ipso facto, che i soldi del Qe debbano per forza rimanere in Italia. Dipende da chi detiene il titolo e, soprattutto, dal paese in cui lo stesso ha il suo conto. Semplice: Bankitalia, nell’ambito del programma d’acquisti, crea moneta dal nulla per comprare Btp in mano ad investitori istituzionali con il proprio conto in Germania: a chi si ascrive la passività, alla Banca d’Italia o alla Bundesbank? Stando al sistema che più indietro abbiamo sommariamente esaminato, alla prima. Che poi è quello che effettivamente sta accadendo. D’altronde si sa: la Germania può permettersi non solo tassi negativi sui bund, ma anche sui depositi, perché considerata maggiormente “affidabile” nel panorama europeo. A novembre, il passivo dell’Italia nei confronti della Bce si aggirava intorno ai 358,6 miliardi di euro (contro l’attivo di 754,1 miliardi della Germania), nonostante il riequilibrio della bilancia dei pagamenti, il ritorno in attivo del conto corrente e l’afflusso di capitali esteri. Ultimi in classifica, preceduti dalla Spagna, con i suoi 330,4 miliardi.

Mario Monti, in una recente trasmissione televisiva, ha usato una metafora molto efficace per spiegare la circostanza: «Prima di uscire dal negozio, bisogna pagare il conto».

Si potrebbe aggiungere, rimanendo sulla stessa metafora, che in caso contrario difficilmente si troverebbe un altro negozio dove poter fare la spesa, in una comunità dove tutti conoscono tutti. E’ il monito (implicito) di Draghi: uscendo senza regolare i conti significherebbe condannare la propria valuta all’esclusione dal sistema dei pagamenti internazionali. O, tutt’al più, essere retrocessi nell’Europa di serie B, come ha lasciato intendere la cancelliera tedesca al vertice di Malta. Intanto Draghi è atteso per giovedì prossimo a Berlino.