A Roma, dall’alto dei 209 miliardi di finanziamenti europei, il Presidente del consiglio incaricato Mario Draghi ha conquistato tutti. E’ impressionante la rapidità con cui lo spazio politico per sovranismi e populismi si è dissolto, non appena l’austerità europea ha lasciato il posto a una politica espansiva, con una guida competente.

Il largo consenso intorno al prossimo governo Draghi si fonda su tre spazi di manovra che l’Italia ha ottenuto dall’Unione europea.

Innanzi tutto le risorse di Next Generation Eu, il primo strumento di politica fiscale comune dell’Europa, conquistato – ricordiamolo – con un impegno importante di Giuseppe Conte, Roberto Gualtieri e Paolo Gentiloni che nella prima metà del 2020 hanno contribuito a cambiare gli equilibri dell’Unione.

Il secondo margine di manovra è la sospensione del Patto di stabilità e crescita e delle sue regole sul bilancio in pareggio, una misura che ha reso possibili i 130 miliardi spesi in deficit dal governo 5Stelle-Pd-Leu.

Il terzo margine di manovra viene dalla sospensione del divieto di ‘aiuti di stato’ alle imprese, che ha permesso di salvare dal fallimento una parte rilevante del sistema produttivo.

Entrambe le sospensioni ‘scadono’ nel 2021, e rappresentano un fattore di fragilità del consenso intorno a Draghi.

Con il ritorno alle vecchie regole, nell’agenda del governo tornerebbero i tagli di spesa, si impennerebbe lo ‘spread’ rispetto ai tassi d’interesse sul debito pubblico tedesco, diventerebbe impossibile tenere in piedi Alitalia, Ilva e le altre imprese in crisi.

Non è un problema solo italiano. Tutti i paesi europei sono minacciati allo stesso modo, e in questi giorni perfino i governi ‘frugali’ di Danimarca, Austria e Repubblica ceca hanno chiesto a Bruxelles di elevare il limite di sussidi e compensazioni ammesse per le imprese.

Il nodo, al di là dell’emergenza pandemia, è la riscrittura delle regole europee dopo le ‘eccezioni’ introdotte di fronte all’emergenza.

Il debito pubblico è un nodo ulteriore. Nel suo articolo sul Financial Times del 25 marzo 2020, Mario Draghi aveva scritto che di fronte alla pandemia “è già chiaro che la risposta deve prevedere un significativo aumento del debito pubblico”.

L’aumento è stato generalizzato e una parte rilevante – un quarto circa per alcuni paesi – del debito pubblico è ora detenuto dalla Banca Centrale Europea.

Questa parte potrebbe ora essere ‘congelata’, trasformata in titoli perpetui a tasso zero, oppure cancellata formalmente. Ne ha parlato il Presidente del Parlamento europeo David Sassoli, (“un’ipotesi di lavoro interessante”) e l’ha riproposto un appello di 100 economisti europei, tra cui Thomas Piketty (ne ha parlato Mauro Gallegati nell’intervista al manifesto di domenica scorsa).

E’ urgente ripensare il quadro della politica fiscale europea – rendere permanenti programmi come Next Generation Eu finanziati con eurobond, consentire la spesa in deficit dei governi nazionali, ridurre il peso del debito pubblico – e riconoscere il ruolo dell’intervento dello stato, con una politica industriale che orienti l’economia verso sostenibilità ambientale e nuove tecnologie.

Se il governo di Mario Draghi vorrà durare per l’intera legislatura, dovrà affrontare questi nodi.

Con le elezioni del 2021 in Germania e Olanda e nel 2022 in Francia, con Angela Merkel che uscirà di scena, c’è un’occasione unica per ridisegnare gli assetti della politica economica europea.

Come leader autorevole del governo italiano, Mario Draghi potrebbe diventare il protagonista dei restauri necessari alla costruzione europea, dando all’Unione la coerenza tra politica fiscale e monetaria che è finora mancata, e gli strumenti per una politica industriale all’altezza della sfida sul clima e sulle trasformazioni digitali.

Sul piano interno, tutto ciò potrebbe assicurare al suo governo i margini di manovra di cui ha bisogno. Per l’Italia, la ricostruzione nel dopo-pandemia rappresenta l’occasione per rovesciare il declino economico del paese e avviare uno sviluppo all’insegna della sostenibilità ambientale, di produzioni avanzate, del rilancio del welfare, della riduzione delle disuguaglianze.

Convincere i partiti a sostenere il governo è stato per Mario Draghi fin troppo facile.

Un po’ meno facile sarà definire in questi giorni programmi e ministeri. Più complicato sarà organizzare nei mesi prossimi i progetti di Next Generation EU.

Ma le cose difficili Mario Draghi potrà trovarle nei prossimi due anni soprattutto a Bruxelles.