«Spetta ai governi europei «portare avanti il famoso “whatever it takes”». Nella cerimonia di saluto a Mario Draghi da presidente della Banca Centrale Europea (Bce) tenuta ieri a Francoforte, il presidente francese Emmanuel Macron ha citato la frase pronunciata nel 2012 da Draghi: «La Bce è pronta a fare tutto il necessario per preservare l’euro. E, credetemi, sarà sufficiente…».

***Bce, l’addio di Draghi un’eredità scomoda nella crisi che incombe

L’AUSPICIO di Macron coincide con ciò che Draghi ha chiesto negli ultimi due anni, senza mai ottenere una risposta dai governi: l’uso espansivo della leva fiscale da parte degli stati membri dell’Unione Europea che hanno beneficiato della politica monetaria accomodante – il «Quantitative Easing» («Qe») – che ha permesso di alleviare il peso degli interessi sul debito pubblico, ha sostenuto l’euro e il sistema bancario in un momento speculativo e ha comprato tempo rispetto a una discontinuità nella politica economica che non è mai arrivata. Nel momento più solenne, prima del cambio di consegne con l’ex direttrice dell’Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, non è affatto certo che i governi che si sono accomiatati da Draghi proveranno a dare un seguito alla sua eredità. Non è chiaro se lo vogliono davvero fare i governi che hanno i margini fiscali per rispondere alle sollecitazioni di Draghi, e agli auspici di Macron, non è affatto detto che lo potranno fare quelli che non possono contare sugli enormi avanzi primari di Berlino: in primo luogo l’Italia, gravata dal peso del debito pubblico e da una stagnazione duratura.

DRAGHI lascia nel momento di massima incertezza delle istituzioni politiche ed economiche europee. Lo scontro tra Macron e il parlamento europeo, che ha portato alla bocciatura della candidata francese agli affari interni Sylvie Goulard ha ritardato l’insediamento della nuova commissione Von der Leyen che avrebbe dovuto avvenire nello stesso giorno dell’insediamento di Lagarde a Francoforte. Una commissione appesa all’esile margine di 14 voti di maggioranza nel parlamento che ha parlato di investimenti «green» per il prossimo decennio, da calcolare fuori dai parametri di Maastricht in base a una «golden rule» ancora da definire. L’evocata revisione delle regole del patto di «stabilità e crescita», in nome di una maggiore «flessibilità nelle regole» resta anch’essa un auspicio, e comunque non sembra essere capace di imprimere un effetto virtuoso. Sono ancora molto forti le diffidenze, e le contrapposizioni, tra i governi per intraprendere una politica comune. In queste condizioni il «cambio di passo» chiesto dal presidente della Repubblica Mattarella all’Unione Europea nel suo messaggio di saluto a Draghi non è scontato, né certo.

A LAGARDE Draghi lascia il rilancio del «Qe» contestato da un terzo dei banchieri centrali europei, una Bce che rischia di restare sola e con un arsenale di armi monetarie che può esaurirsi, creando anche un effetto di assuefazione dei mercati rispetto alla droga monetaria messa in circolo. Il banchiere che ha cambiato le politiche monetarie in Europa ha salvato l’euro, ma non ha alzato l’inflazione (sotto il 2%, in media nell’Ue è all’1,2%), né è riuscito a spingere le banche a liberare il credito. Anzi, a dispetto dei tassi negativi, preferiscono pagare penali invece di fare il loro mestiere. La situazione potrebbe continuare dal primo novembre in poi quando, insieme al «Qe» mensile da 20 miliardi, saranno introdotte nuove condizioni favorevoli per gli istituti bancari. L’incertezza politica aumenta, anche rispetto a una possibile nuova crisi economica, di cui lo stesso Draghi ha più volte parlato.

*** Il bazooka è per sempre. Draghi lascia in eredità un «Qe» senza scadenza

IN ATTESA di capire se l’eredità del banchiere potrà avere un seguito politico in Italia, magari con l’elezione al Colle nel 2022 come si vocifera, va ricordato che Draghi auspica una modernizzazione neoliberale basata su «riforme strutturali» infinite: ad esempio l’innalzamento dell’età pensionabile, un mercato del lavoro «liberalizzato» (precarizzato) sebbene con ammortizzatori sociali più robusti, un’istruzione ispirata ai criteri vigenti in Italia da vent’anni che hanno trasformato scuola e università in industrie dei crediti e della vita a progetto, non nel progetto di una vita.