Tanto lo elogiano negli a parole, tanto condividono il suo discorso programmatico i senatori che parlano per quasi otto ore dopo Mario Draghi, quanto poco in realtà lo applaudono mentre legge il suo atteso intervento. Poco, con poca convinzione e spesso sembrerebbe persino un po’ a caso, come non cogliessero il punto. Non è un discorso da trascinatore di entusiasmi, certo, ma qualche frase a effetto anche Draghi l’ha studiata. Purtroppo cade nell’aula come un sasso in un pozzo. Dopo, sui social, politici e commentatori rilanciano soprattutto due passaggi. Quando ha detto che «ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle nuove generazioni». E quando ha detto che «vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta» – questa frase in particolare colpisce perché è l’ex banchiere centrale che la pronuncia. Entrambe però, al momento in cui Draghi le dice, scivolano via nell’indifferenza del senato. O forse era la fredda attenzione che si deve alle relazioni più che alle orazioni. Solo alla fine un vero applauso piove anche dalle tribune del senato – perché i senatori sono distribuiti lì per rispettare le distanze e l’aula e mezza vuota, quasi intima. L’applauso trattiene a lungo in piedi il presidente del Consiglio. Fino a che, dimenticando che il microfono è aperto, si volta alla sua destra e chiede ai ministri Giorgetti e Brunetta di dirgli quando deve sedersi. Vuole andar via ma c’è la fila per i complimenti, primi Bonino e Monti. E per i selfie, come fa la senatrice renziana Sbrollini che poi twitta la foto ricordo con Draghi: «Discorso trascinante». Trascinante?

Discorso puntuale, non breve come si prevedeva ma comunque essenziale – «sartoriale» dice la capogruppo di Forza Italia Bernini. Diviso in capitoli, titoli che Draghi non evita di leggere. Una lezione in capitoli, ma il professore non nasconde l’emozione anzi la dichiara quasi subito. E del resto si vede quando proprio lui, il super tecnico, si incaglia sui numeri e dice che i ricoverati in terapia intensiva sono due milioni. «Circa duemila», suggerisce Giorgetti a filo di mascherina.
Non c’è posto per tutto il governo e nella prima fila sono con Draghi, al mattino, anche Bonetti, Speranza e Guerini. Alla sinistra del presidente del Consiglio c’è Patuanelli al quale nel pomeriggio dà il cambio della guardia Di Maio. Arriva anche Carfagna, va via Cartabia, resta Colao e non si muove dalla postazione centrale davanti a Draghi il sottosegretario alla presidenza Garofoli.

Dalla piccionaia in cui sono costretti – il Covid! – quattro cameraman e due soli giornalisti si intravede appena Salvini. Incassa il colpo più pesante, quando Draghi dice che «sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro e la prospettiva di un’Unione europea sempre più integrata che approderà a un bilancio comune» giocando con il cellulare. Anche lui non applaude quasi mai. Ma scatta una foto e la posta con un richiamo forse autobiografico al «mercoledì delle ceneri». Nello scatto, dalla prospettiva dei banchi della Lega, si vedono i ministri Franco, Lamorgese, Brunetta e Giorgetti, oltre a Draghi. Renzi, dall’altra parte dell’emiciclo, condivide la passione per il telefono. Non parla, lascia la diretta tv a Faraone (che è sulla rotta del sottogoverno) e a Bellanova (che così potrà diventare capogruppo). Ma nel salone Garibaldi raduna un semicerchio di giornalisti per spiegare la perfezione chirurgica del suo piano: «Si apre uno spazio liberal democratico e riformista». Lo vuole.

Draghi parte dalla pandemia e ci torna sempre, mette l’attenzione all’ambiente in ogni ragionamento e fa capire che vuole cominciare a occuparsi soprattutto della scuola. Ma intanto non trascura un ringraziamento a Conte, accompagnato dall’applauso e da un urlaccio dal lato destro: «Applausi di Giuda». In verità tre righe più sotto il presidente del Consiglio legge anche che «il tempo del potere può essere sprecato nella preoccupazione di conservarlo», magari è una critica al predecessore. Dice che non è un governo tecnico: «Questo è semplicemente il governo del paese» e non è neanche l’espressione di una nuova formula politica: «Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità». La frase per i titoli è che «oggi l’unità non è un’opzione, è un dovere.

Due sole citazioni in 50 minuti. La prima un po’ da sussidiario per un Cavour anticlericale che il 7 marzo 1850 interviene nel parlamento Subalpino in favore delle leggi Siccardi: «Le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano». La seconda, al contrario, per Papa Francesco: «Le tragedie naturali sono la risposta della terra al nostro maltrattamento».

Il papa serve a introdurre il capitolo ambientale. Che è vasto e non privo di suggestioni quasi radical: «Lo spazio che alcune megalopoli hanno sottratto alla natura potrebbe essere stata una delle cause della trasmissione del virus dagli animali all’uomo». Sulla scuola fa un’analisi spietata, altro che tutto bene. Insiste che bisogna recuperare le ore di didattica, anche «allineando il calendario scolastico». Sulle vaccinazioni butta via i padiglioni «primula» e indica ancora l’esempio inglese.

«Uscire dalla pandemia non sarà come riaccendere la luce» è un’altra di quelle frasi che avrebbe potuto raccogliere un applauso, ma non succede. Draghi spiega che andrà «rafforzata la dimensione strategica» del Recovery plan e cita soprattutto dossier ecologici, dalle fonti rinnovabili alla produzione di idrogeno. Poi lancia tre grandi riforme. Fisco, con una «revisione profonda dell’Irpef» e no alla flat tax. Pubblica amministrazione. E giustizia, citazione solo per il settore civile. Nella replica accoglie le sollecitazioni sull’industria culturale, sull’immigrazione – «la risposta più efficace è quella europea» – e sulla legalità. Ma finisce con la «consapevolezza del disastro». Ha ascoltato tutti gli interventi: «Vi ringrazio per gli attestati di stima, ma dovrà essere validata nei fatti». Il conto dei voti di fiducia, notturno, ormai è un dettaglio.