Venti di guerra. Impetuosi. È il Parlamento di un Paese non belligerante quello che discute e vota sulla guerra in Ucraina. Però non se ne accorgerebbe nessuno a sentire la relazione del premier e i successivi interventi. Uno sprovveduto ignaro ne uscirebbe invece convinto di aver assistito alla seduta che accompagna e approva una dichiarazione di guerra.

È BELLICOSO sin dalle prime parole il discorso di Mario Draghi: «Molti si erano illusi che la guerra non avrebbe più trovato spazio in Europa. Le immagini che ci arrivano dalle città dell’Ucraina segnano la fine di queste illusioni e ci obbligano a scelte fino a pochi mesi fa impensabili». La ex Jugoslavia e la Serbia bombardata anche dall’Italia evidentemente non sono Europa. Draghi cita l’immagine poetica di uno storico: «La giungla della storia è tornata e le sue liane vogliono avvolgere il giardino di pace in cui eravamo convinti di abitare». È Robert Kagan, il fondatore del neocon Project for the New American Century, base teorica per le guerre di Bush jr. e Cheney. La folgorante visione della giungla che avanza è il titolo del suo ultimo libro, nel quale suggerisce la necessità di qualche nuovo colpetto di machete dopo quelli purtroppo ancora insufficienti di inizio secolo.

DRAGHI ILLUSTRA le misure adottate dal governo italiano e già note. Si sofferma sulla più spinosa, quella che porta l’Italia al fronte, la fornitura di armi letali all’Ucraina: «A un popolo che si difende e chiede aiuto non è possibile rispondere solo con incoraggiamenti e atti di deterrenza», «Ora tocca a noi tutti decidere come reagire. L’Italia non intende voltarsi dall’altra parte». Sulla crisi energetica che potrebbe derivare dalle sanzioni, già durissime e altre se ne potrebbero aggiungere, il premier si mostra cautamente ottimista. Senza contare che non ci sono solo spine ma anche petali. L’Europa, sull’onda della crisi, ha «accelerato il percorso di integrazione» e la minaccia russa «è una spinta a investire nella difesa più di quanto abbiamo fatto sinora». Armi e sanzioni trovano ampio spazio. Sforzi per riannodare i fili del dialogo, come sarebbe doveroso per un Paese schierato sì ma non belligerante, invece vengono sbrigativamente liquidati: «Ho l’impressione che questo non sia il momento».

IL DIBATTITO si adegua al tono del presidente del consiglio e lo sorpassa. Il solitamente prudente Pier Ferdinando Casini rivendica addirittura i Pershing degli anni ’80 e decritta le parole di Mario Draghi: stanno a dire che ci aspettano tempi durissimi, sacrifici e sofferenze che gli italiani dovranno sopportare in nome della libertà. Emma Bonino concorda, ma tra le righe trapela il dubbio che gli italiani, alla lunga, non abbiano la tempra necessaria per reggere. Il Pd, per bocca della ex ministra della Difesa Roberta Pinotti, esalta le forze armate, pronte a fronteggiare «l’attacco al cuore dell’Europa».

IL CLIMA È QUESTO e non stupisce che quando prende la parola Adolfo Urso, presidente FdI del Copasir, non si avvertano differenze neppure nelle sfumature rispetto ai toni della maggioranza e del governo. Reclama l’aumento delle spese militari, proprio come il presidente del consiglio. Alla fine la mozione di appoggio al governo verrà votata da quasi tutti, con poche eccezioni tra le quali la più vistosa è quella del presidente 5 Stelle della commissione Esteri del Senato, Vito Petrocelli, subito preso di mira da Pd, Iv e Forza Italia: «Deve scegliere tra Putin e un ruolo di garanzia». Democrazia di guerra.

FA UN EFFETTO strano rintracciare toni più normali, meno armati, solo nelle parole del senatore di LeU Vasco Errani e del leader leghista Matteo Salvini, quasi i soli a segnalare che il dialogo va perseguito subito, non in un non meglio identificato futuro, e che l’obiettivo è il cessate il fuoco, non la vittoria sul campo. Sembrano mosche bianche e lo sono, perché per quasi tutti l’obiettivo è invece proprio la sconfitta del nemico, al secolo la defenestrazione di Vladimir Putin a opera dei suoi sodali. È su questo che scommettono Unione europea, Nato e Stati uniti. Per questo, con ennesima gaffe, nel pomeriggio la pd Lia Quartapelle, in commissione, spiega che ora bisogna pensare a come ripristinare la democrazia in Russia nel dopo Putin. Può funzionare ma cosa succederà in caso contrario nessuno può dirlo.