La zona euro ha bisogno di un nuovo strumento fiscale e di una maggiore condivisione dei rischi per combattere le crisi che hanno lasciato cicatrici durature nell’economia dell’eurozona ha sostenuto il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi in un intervento ieri al Jacques Delors Institute a Berlino. Lo «strumento di bilancio aggiuntivo per svolgere una funzione di stabilizzazione» è l’unione bancaria e quella dei mercati di capitale. Per Draghi «dovrà essere adeguato» nelle sue dimensioni e «progettato in modo da contenere l’azzardo morale» e per «integrare la politica monetaria garantendo la stabilità macroeconomica sia a livello dell’area euro che, soprattutto, in ciascuno dei suoi Stati membri».

La ricetta è sempre la stessa: monetarismo e libero mercato: «stimolano la crescita del commercio interno. In un periodo di crescente protezionismo, potrebbero diventare più cruciali, aumentando «il reddito dell’Ue fino al 14% in 10 anni e raddoppiando gli scambi intra-Ue». Per il presidente della Bce, «in un contesto internazionale in cui l’apertura dei commerci non può più essere data per garantita», i paesi con bassa produttività non dovrebbero pensare di «trovare altrove un mercato più grande» di quello europeo. Secondo Draghi, «un ampio e profondo mercato interno può essere ancora più importante per proteggere» i paesi con bassa produttività e «tutti noi da shock esterni».

Tra le righe il riferimento all’Italia è sembrato chiaro. Nelle ultime settimane il governo Cinque Stelle-Lega ha contestato le regole fiscali dell’Ue, discutendo pubblicamente l’idea di superare i propri limiti di disavanzo e suggerendo addirittura che la Bce potrebbe fornire un ulteriore sostegno. Draghi ha apparentemente respinto l’idea, sostenendo che il blocco deve riaccendere la fiducia nelle «regole fiscali» rendendole più anticicliche e più vincolanti.