Il presidente della Bce Mario Draghi ha detto di non essere disponibile a guidare il Fondo Monetario Internazionale a Washington, scambiando il suo posto con Christine Lagarde, attuale direttrice dell’Fmi, designata a sostituirlo. «Lagarde sarà un presidente eccezionale della Bce – ha detto – Ci conosciamo da moltissimo tempo, forse più di quanto vorremmo potere dire». Smentendo le voci che si sono inseguite negli ultimi giorni – la Francia di Macron lo vorrebbe all’Fmi – Draghi si è tirato fuori dalla mischia in attesa di altri progetti. «Non ho deciso cosa farò in futuro» ha aggiunto. La politica delle porte girevoli potrebbe continuare. Quando i tempi saranno maturi.

IN UNO DEGLI ULTIMI consigli direttivi da lui presieduto, ieri Draghi ha comunicato che la Bce ha lasciato i tassi invariati ma si prepara a tagliarli, in particolare quello sui depositi, per la prima volta dall’inizio del 2016. Inoltre l’istituto ha messo allo studio la possibilità di avviare un nuovo Quantitative easing (Qe), il programma di acquisto titoli con il quale si è cercato di stimolare la crescita economica e portare l’inflazione vicino al 2% . Obiettivo che Francoforte fatica molto a raggiungere, facendo contemporaneamente salire i salari e, di rimbalzo, i prezzi per conservare i profitti delle imprese. L’equazione perfetta è stata chiamata «curva di Philips» dalla teoria economica. Draghi è alla ricerca di una relazione inversamente proporzionale dove più diminuisce la disoccupazione, più aumenta l’inflazione, seguita dai salari.

QUALCOSA tuttavia si è spezzato in questo meccanismo: la disoccupazione cala a macchia di leopardo in Europa, l’inflazione non cresce abbastanza, e in maniera uniforme, mentre i salari sono rimasti piatti. La crescita sta rallentando e lo farà ancora di più nel corso del secondo e terzo trimestre di quest’anno, specie nei paesi dove la manifattura è importante come in Germania. «A causa delle catene del valore questo si propaga in tutta l’Eurozona» ha osservato Draghi. Un brutto segnale per il Pil italiano, già quasi a zero. E per la legge di bilancio che il governo italiano sta iniziando a formulare. «Nel complesso – ha precisato Draghi – Vediamo rischi di recessione ancora abbastanza bassi» anche se il Brexit, la guerra commerciale Cina-Usa e il protezionismo di Trump non aiutano.

Molti osservatori ritengono che il girare a vuoto della curva di Philips, perlomeno in Europa, sia uno degli effetti della pressione al ribasso sui prezzi esercitata dall’uberizzazione – o «amazonificazione» – dell’economia che ha accelerato il processo più ampio della desalarizzazione del lavoro e della trasformazione del lavoro in «servizio umano». Il problema è discusso nei rapporti annuali della Bce e in diversi saggi commissionati da questa istituzione. «I modelli tradizionali – si legge ad esempio nel rapporto annuale del 2017 – non catturano appieno la complessità alla base dell’inflazione nell’attuale contesto economico. Tuttavia, la capacità produttiva inutilizzata è ancora notevole e, nell’area dell’euro, la ripresa dell’attività economica dovrebbe comportare un ulteriore graduale incremento dell’inflazione di fondo».

«Fondamentalmente non ci piace quello che vediamo sul fronte dell’inflazione» ha osservato ieri Draghi. Il banchiere ha ribadito un concetto già citato negli ultimi tempi, quello della «simmetria». «Significa – ha spiegato – che agiremo con la stessa determinazione sia se l’inflazione si trova sotto sia se si colloca sopra il nostro obiettivo». In altre parole, pur sapendo che qualcosa non funziona, la Bce si è impegnata a rispettare con ancora più decisione il suo mandato. È la conferma della politica della stabilità dei prezzi che la banca centrale si è impegnata a difendere sia nel caso di un tasso di inflazione troppo basso che in quello opposto.

«NON SIAMO RASSEGNATI a una stagnazione secolare» ha aggiunto Draghi che ha dato un «ampio mandato» per studiare nuove misure di politica monetaria che potrebbero essere adottate già dalla prossima riunione di settembre, a cominciare dal nuovo Qe.
In questo pacchetto rientrerebbero anche le politiche fiscali che permetterebbero di «fruire al meglio dei benefici delle nostre misure di politica monetaria, ma lo è ancora di più quando le previsioni macroeconomiche peggiorano». Francoforte resterà in attesa delle prossime stime sull’economia per determinare l’entità della prossima alluvione monetaria in cui le economie del continente potrebbero tornare a nuotare. Sperando di tornare in mare aperto e non di restare nella stagnazione in cui si trova, ad esempio, l’Italia.

Nel frattempo, la Corte Costituzionale tedesca ha convocato due udienze pubbliche martedì 30 e mercoledì 31 luglio per giudicare la validità di una delle misure chiave della Bce: il quantitative easing, lo strumento non convenzionale di politica monetaria espansiva usato dal 2015 per stimolare la crescita economica che ha gonfiato i bilanci di Francoforte fino a 2.600 miliardi di euro. I giudici dell’alta corte di Karlsruhe torneranno così a scrivere un’altra puntata dello scontro tra la legge tedesca e la politica economica decisa dalla potente banca centrale. Sette mesi fa la corte di giustizia europea, sollecitata dai giudici tedeschi nell’estate del 2017, ha sentenziato che la politica monetaria è conforme al diritto europeo.

LA PROSSIMA settimana i giudici di Karlsruhe dovranno esprimersi su una causa avviata da diversi esponenti politici e universitari tedeschi secondo i quali attraverso il «Qe» la Bce ha violato il divieto di finanziamento diretto degli Stati e, di conseguenza, oltrepassato il proprio mandato. Fra gli attori della causa ci sono il cofondatore del partito di ultra-destra Alternative für Deutschland Bernd Lucke, l’esponente dei conservatori bavaresi della Csu, Peter Gauweiler e il professore di diritto, Markus Kerber. Se i giudici dovessero dare loro ragione, alla Bundesbank potrebbe essere vietato di prendere parte al programma che, al momento, ha terminato gli acquisti netti ma prosegue con i reinvestimenti dei capitali rimborsati sui titoli giunti a scadenza.

NEL 2015 i giudici tedeschi hanno validato, dopo un iniziale ricorso, anche un altro programma della Bce, le operazioni definitive monetarie, note anche con l’acronimo «Omt» dalla definizione inglese «Outright monetary transactions», creato nel 2012 e mai applicato da allora. In teoria, permetterebbe alla Bce di acquistare il debito di un paese colpito da crisi o da speculazione, in cambio dell’obbligo delle ricette austere previste dal «programma di aggiustamento strutturale» previsto dal meccanismo europeo di stabilità.