Mario Draghi e Emmanuel Macron firmano un testo comune molto politico sul Financial Times per influire sulle consultazioni in corso alla Commissione di Bruxelles, in difesa di una revisione delle regole di Maastricht relative al Patto di crescita e stabilità, ora congelate a causa del Covid, ma che potrebbero tornare all’inizio del 2023.

Per il presidente del consiglio italiano e il presidente francese nella Ue bisogna evitare un dibattito «oscurato dall’ideologia», perché c’è «bisogno di più spazi di manovra e di margini di spesa sufficienti per il futuro» e per «assicurare la sovranità» europea attraverso investimenti nei settori strategici e per la transizione ecologica. Per essere ancora più chiari, i due leader scrivono che «il debito per finanziare tali investimenti, che certamente giovano alle generazioni future e alla crescita a lungo termine, dovrà essere favorito dalle regole di bilancio». Le regole di Maastricht hanno «limitato il campo di azione dei governi», scrivono Draghi e Macron, «e sovraccaricato di responsabilità la politica monetaria», che di fronte al Covid è intervenuta con azioni di sostegno del debito pubblico considerate temporanee e eccezionali.

L’euro sta per festeggiare i 20 anni, mentre il Trattato di Maastricht, che ha imposto le regole del tetto del 3% di deficit e 60% del debito rispetto al pil, ne ha compiuti 30 il 9 dicembre. Per i capi di stato e di governo di Francia e Italia queste regole sono superate. Lo ha dimostrato la reazione al Covid, che non deve bloccarsi una volta finita l’emergenza: «Dobbiamo essere pronti ad attuare la strategia di crescita della Ue per il prossimo decennio attraverso investimenti comuni, regole più adatte e un miglior coordinamento, non solo durante la crisi». Del resto, già prima del Covid, era chiaro che le «norme» erano «troppo opache e complesse» e che «andavano riformate».

Il testo comune di Draghi e Macron è il primo affondo del nuovo asse Parigi-Roma, siglato con il recente Trattato del Quirinale, contro la Ue dei «frugali». In mezzo c’è la Germania, con cui la Francia ha dal 1963 un trattato bilaterale (dell’Eliseo, aggiornato di recente). Ma il nuovo cancelliere, Olaf Scholz, rimane nel vago sulla riforma di Maastricht. Nella recente visita a Roma si è limitato a dire che le regole attuali hanno provato di essere abbastanza flessibili. Nell’alleanza Semaforo al potere a Berlino, il ministro delle Finanze è il presidente dei liberali, Christian Lindner, che è su posizioni ortodosse come del resto il nuovo presidente della Bundesbank dal 1° gennaio, Joachim Nagel, vicino a Scholz. Nagel è considerato «la più colomba tra i falchi» e Lidner insiste sulla necessità di una «politica monetaria orientata alla stabilità» di fronte ai rischi di inflazione. Ma nel contratto di governo a Berlino c’è un capitolo sulla necessaria modernizzazione del paese, che avrà grande bisogno di investimenti. Su questo stretto cammino potrebbe venire trovata un’intesa con i tedeschi.

Per evitare un’alzata di scudi dei «frugali», guidati dall’Austria, che non vogliono sentir parlare di rendere perenne il meccanismo dell’indebitamento solidale inaugurato con il Recovery di 750 miliardi, Draghi e Macron, alla testa di paesi molto indebitati, ammettono: «Non ci sono dubbi che dobbiamo abbassare i livelli di indebitamento». Ma, aggiungono subito, «non possiamo farlo attraverso tasse più alte o tagli insostenibili alle spese sociali, né possiamo soffocare la crescita attraverso aggiustamenti fiscali non praticabili» (è la lezione tratta dalla crisi del 2008, quando un ritorno alle norme più ortodosse aveva influito negativamente sull’economia).

Roma e Parigi promettono: «La nostra strategia è mantenere sotto controllo la spesa corrente attraverso riforme strutturali ragionevoli». Per Macron, che il 1° gennaio prende la presidenza della Ue ed è già di fatto in campagna elettorale per le presidenziali di aprile, è una risposta alla candidata dei Républicains, Valérie Pécresse, che lo accusa di aver «bruciato la cassa» con il programma di interventi di sostegno «a qualunque costo» durante il Covid, che hanno fatto salire l’indebitamento francese al 118,2% (era 98,1% nel 2019).