Sono tempi duri per il «miracolo greco». Per tante ragioni non si cercano né ammirano più nel mondo antico apogei di classicità, perfette esemplarità, assolute eccellenze, poeti e filosofi, marmi scolpiti e candidi templi. La passione per la classicità greca, che in passato ebbe anche forme ideologicamente sospette, pare tramontata definitivamente. La superiorità degli antichi è negata: di qui forse il bisogno di cercare temi che rendano anche i greci primitivi, imperfetti, irrazionali. Come a dire, meno partenoni e più empuse.

Questa è la linea seguita da Giorgio Ieranò in Demoni, mostri e prodigi L’irrazionale e il fantastico nel mondo antico (Sonzogno, pp. 158, euro 15,00). Il lavoro continua un percorso che già ha trattato di dèi ed eroi, e il patto con il lettore è chiaro: «anche noi, per il breve tempo di questo libro, torneremo a credere alle Ninfe e ai Minotauri, ai Satiri e ai Centauri, ai draghi e ai giganti, alle magie e ai prodigi. E poco importa se sono solo inganni . Perché dietro il velo degli inganni si nasconde il senso della nostra vita» (p. 17). Dai mostri alle ninfe, dunque, dagli spiriti dei morti alle storie di magia, molte sono le storie ripercorse nel volgere di circa dieci brevi capitoli.

Il perturbante dionisiaco

Le storie sono nel libro raccontate bene. Si succedono l’una all’altra, collegate per associazioni di idee, vaghe consonanze tematiche: un poco come in Ovidio, ma più velocemente. Al racconto si unisce qualche spunto di analisi. Non è una mitologia rasserenata, quella che qui si accosta: molte storie, a cominciare da quelle sui morti per continuare con gli aspetti «perturbanti» del culto dionisiaco. Le immagini avrebbero qua e là restituito un elemento vivo dell’immaginario antico, ma le regole della collana sono prevalse: le favole antiche sono solo parole. Nel libro, il modello del Kerényi (con l’articolo, perché è il libro per antonomasia sui miti antichi) è molto presente, come anche I Greci e l’irrazionale di Dodds. Il tutto però con i necessari adattamenti all’ora presente: sono escluse le note, ridottissime le «letture ulteriori», volutamente leggera la scrittura.

Continuità fra epoche diverse

Sogni, incubazioni, apparizioni, maghi, draghi, presentano un volto «trendy» del mondo classico: il libro valorizza la continuità fra epoche e culture diverse, evocando le linee che congiungono i dèmoni e il demonio, ma anche il mito e il fantasy. E infatti l’apprendista stregone di Fantasia viene da una pagina dell’Amante della menzogna di Luciano di Samosata, poi imitata in una ballata di Goethe. È certo una scoperta godibile, ma forse i nostri contemporanei, così insensibili alla distinzione tra il «vero» e il fittizio, non capiscono più l’acido spirito volterriano con cui Luciano propose questa e altre storie fantastiche: non certo con il patto di «crederci», nemmeno per il tempo della lettura.

Storicamente è giusto richiamare il fatto che la cultura dei greci non era costituita solo di razionalità, che non procedette linearmente «dal mito al logos», che non si liberò mai del mondo magico. Nel santuario di Delfi non divinava forse la Pizia in stato di trance? E non esistette anche una sorta di irrazionalismo «alto», quale bene si riconosce in età tardoantica? Le credenze soprannaturali diffuse non erano (solo) espressione di sub-culture popolari: molti libri ne hanno in tempi recenti trattato con rigore scientifico e correttezza antropologica. L’accademia ha fatto ampiamente propri questi temi: l’iconografia delle gemme magiche è oggi studiata con più cura di quella un tempo riservata a Fidia e Prassitele.

Resta una domanda. Se si tratta di cercare elementi fantasy, è davvero utile scomodare i greci, o sarebbe più semplice usare il comodo ‘pacchetto nordico’? Giacché filologia si fa ormai anche su Tolkien, Narnia e la Terra di Mezzo sono più familiari di Tebe e Atene, e l’immaginario da videogame e serie televisive condiziona indelebilmente il gusto dei prossimi lettori (se ve ne saranno ancora).