Cosa cambierà? Di certo lo stile. Quello, anzi, è già cambiato. Se ne accorgono per prime le troupe che assediano palazzo Chigi per rubare una battuta ai ministri che lasciano il primo cdm dell’era Draghi. Magro bottino. Escono senza scucire mezza parola.

È stato lo stesso premier, dopo aver doverosamente ringraziato il capo dello Stato, a indirizzare il nuovo corso: «Si comunica quel che facciamo, non quel che vogliamo fare». Sintetico ma chiaro.

Nella prima riunione del governo è d’obbligo un passaggio sulla distanza politica che separa molti dei ministri seduti l’uno vicino all’altro: «So che abbiamo e avete sensibilità diverse. Ma bisogna metterle da parte. L’unità qui non è un’opzione ma un dovere. La messa in sicurezza del Paese viene prima degli interessi di parte». Perché il nuovo governo esordisce con alle spalle «un anno difficilissimo» e ha di fronte quello in cui si dovrà «rilanciare il Paese».

LA PRIMA URGENZA che Draghi cita è l’accelerazione del piano vaccini. Non è una sorpresa per chi ha già avuto modo di parlarci nel corso delle consultazioni. A tutti Draghi ha detto chiaro e tondo che se la direzione imboccata dal precedente governo nel fronteggiare la pandemia va confermata non altrettanto può dirsi per «il passo». Quello va cambiato, accelerato al massimo.

Bisogna moltiplicare i call center e usare a tappeto i tamponi rapidi, a partire dalle scuole. Sul ruolo dei tecnici sin qui preposti a gestire la vaccinazione il premier non si è fatto sfuggire una parola ma l’impressione è che Arcuri potrebbe essere sostituito.

LA VACCINAZIONE del resto non è l’unico fronte sul quale la valutazione del nuovo premier è molto più negativa che positiva. A molte delegazioni ha detto senza perifrasi che i ritardi nell’erogazione delle casse integrazione sono inaccettabili. A rischio dunque c’è anche il presidente dell’Inps Tridico: anche ieri in cdm Draghi ha segnalato la gravità della crisi sociale. Senza efficienza, rapidità e puntualità nei ristori evitarla non sarebbe possibile.

AI MINISTRI RIUNITI per la prima volta il premier ha comunicato un’altra preoccupazione estrema che aveva già segnalato nelle consultazioni: quella per la situazione delle scuole. Anche ieri ha infatti sottolineato che al problema dei ritardi nell’apprendimento se ne affianca un altro che, data l’insistenza con cui ne ha parlato in questi giorni, ritiene evidentemente altrettanto centrale: tra i giovani si sta diffondendo un clima depressivo che va contrastato a tutti i costi.

Cosa voglia dire in concreto è ancora ignoto ma di certo la scelta di Patrizio Bianchi come ministro dell’Istruzione sembra eloquente. Come assessore all’Istruzione in Emilia-Romagna si era occupato della ripartenza dopo il sisma. Per conto della ex ministra Azzolina aveva preparato un piano per la riapertura in settembre rimasto lettera completamente morta.

MA LA STERZATA più drastica sarà sul piano degli investimenti del Recovery. La lista dei ministri parla da sola. Ben 9 ministri del Conte bis sono ancora presenti ma tra questi non c’è l’ex responsabile del Mef Roberto Gualtieri e anche l’ex titolare del Mise, Patuanelli, è sì ministro ma in un altro dicastero. Segno evidente che per Draghi quel Piano non era all’altezza delle necessità.

E non solo per lui. Almeno in buona parte la caduta del governo Conte si spiega infatti proprio con l’insoddisfazione di Bruxelles per il Recovery italiano: non perché Renzi abbia agito su commissione ma perché la caduta di un governo dipende sempre da chi gli affibbia la spinta ma anche da chi non lo sostiene dopo il colpo.

È PROBABILE CHE nelle insufficienze del Piano di Conte e Gualtieri la disattenzione per l’ambiente fosse in testa alla lista. Per Draghi quel fronte è il più centrale di tutti. Lo ha ripetuto ieri, «Siamo un governo ambientalista», ma non si è limitato allo slogan. Tra le prime necessità ha messo la creazione di posti di lavoro, aggiungendo però «compatibilmente con l’ambiente».

È la sensazione che avevano già avuto tutti e in particolare le associazioni ambientaliste nel corso delle consultazioni: che Draghi, a differenza del precedente governo che puntava ancora troppo sul gas, sia consapevole di dover sterzare drasticamente verso le rinnovabili e che si tratti ora di accelerare ulteriormente intervenendo da subito sulle infrastrutture, con l’obiettivo di arrivare per il 2030 al 70% di rinnovabili sulla rete.