C’è un altro Dracula di Bram Stoker, oltre a quello che tutti in un modo o nell’altro hanno incrociato sulla pagina stampata o in una sala cinematografica. Stava lì dal 1900, tre anni dopo la pubblicazione del romanzo in Inghilterra, solo che nessuno se ne era mai accorto: è la traduzione tempestivamente uscita in Islanda del capolavoro dello scrittore irlandese, curata da Valdimar Ásmundsson, all’epoca uno dei principali letterati dell’isola nordica. La versione islandese, alla quale certamente collaborò lo stesso Stoker, è radicalmente diversa dal romanzo «originale». Uscita a puntate sul periodico islandese Fjallkonnan, diretto dallo stesso Ásmundsson, scoperta nel 2013 da Hans de Roos, uno dei principali studiosi stokeriani, questo «altro Dracula» è stato tradotto ora anche in italiano col titolo I poteri delle tenebre. Dracula. Il manoscritto ritrovato (Carbonio editore, pp. 289, euro 16.00, traduzione di Maura Parolini e Matteo Curtoni). Come autori figurano a pari merito lo scrittore irlandese e il traduttore islandese. Il libro è corredato da una introduzione di Dacre Stoker, discendente di Bram e a sua volta autore di due romanzi con il principe dei vampiri protagonista.
Il pezzo forte, però, è un lungo saggio iniziale di de Roos. Non solo mette a fuoco la specificità e le peripezie della versione islandese di Dracula. Fa anche il punto sugli studi stokeriani, che rappresentano un’avventura romanzesca in sé: una specie di «caccia al vampiro», magari nascosto in una stalla in Pennsylvania, come quella dove fu ritrovato negli anni ’80 del XX secolo il manoscritto originale del romanzo, finitoci chissà come. Quel che sembra indiscutibile, alla luce degli appunti di Bram Stoker, è che il romanzo islandese sia una specie di «prima versione» del romanzo, poi modificata in corso d’opera.

A COMPLICARE LE COSE ci si mette il fatto che la traduzione islandese si basa su quella svedese del 1899 e in Svezia di traduzioni ne uscirono due: una più lunga e una corta. Quella su cui si è basato Ásmundsson è la seconda. Il risultato è un libro molto squilibrato. La prima parte, quella in cui Jonathan Harker, che qui si chiama Thomas, si reca nel castello transilvano del Conte è molto dettagliata e anche più lunga di quella nota (ma da quella prima sezione lo stesso Stoker tagliò circa 80 pagine, alcune delle quali, il primo o il secondo capitolo, pubblicate nel 1914 dalla moglie nel racconto L’ospite di Dracula). La seconda, quella che si svolge in Inghilterra, invece è ridotta all’osso: poche pagine, quasi solo un elenco di appunti da sviluppare. Ásmundsson aggiunge poi una serie di riferimenti alle mitologie nordiche che modificano le suggestioni complessive del romanzo.
Di differenze tra le due versioni di Dracula ce ne sono moltissime. Personaggi che nella versione finale scompaiono: una serva sordomuta di Dracula della quale si perderà traccia nel testo finale, un paio di poliziotti che indagano sul Conte e che a loro volta finiranno depennati. Mancano invece figure importanti come il pazzo che diventa servo di Dracula, Renfield. Soprattutto le tre vampire che, nel castello, mordono il freno impazienti di mordere la gola di Harker diventano qui una sola bellissima vampira, cugina di Dracula, il cui ruolo è molto meno secondario di quello delle tre fameliche. Intreccia con il malcapitato inglese una vera relazione, basata su una torrida sensualità che coglie alla sprovvista il vittoriano, complessa e ambigua, non riducibile all’ansia di trasformare l’ospite in spuntino.
La vera differenza sostanziale riguarda però proprio il Vampiro. Nel romanzo del 1897 Dracula è una presenza costante e incombente ma sfuggente, mai precisamente definita. L’immagine classica che ne è stata poi fissata nella cultura popolare somma elementi derivati, oltre che dal personaggio di Stoker, dal primo Vampiro moderno, quello descritto da John Polidori nell’omonimo romanzo del 1819, modellato sul poeta romantico George Byron di cui Polidori era medico personale, e dalla sensuale e lesbica Carmilla, di Sheridan Le Fanu, del 1872.

QUI DRACULA è invece delineato con tutt’altra precisione. Discute con Harker di politica e letteratura. Illustra la sua visione nazistoide di un mondo dominato dagli esseri superiori. Rivela una marcata componente libertina e sessualmente predatoria, che diventerà invece implicita e molto meno grossolana nel romanzo inglese. Il Conte è inoltre a capo di una setta di esseri scimmieschi che si raduna nei sotterranei del castello, e soprattutto è in contatto e finanzia uomini potenti di tutta Europa. Il trasloco dal castello avito alla metropoli allora capitale del mondo non è dunque dovuto alla necessità di trovare nutrimento a volontà, coperto e protetto dal nebbioso anonimato londinese, ma dalle esigenze del complotto mondiale di cui Dracula è regista, con l’intento di instaurare un nuovo e feroce ordine basato sul dominio non dei vampiri ma dei più forti.
Oltre a essere un ottimo racconto gotico, pur intrecciato di mitologie nordiche, in sé, I poteri delle tenebre è imperdibile per i lettori di Dracula e i maniaci di vampirismo in generale. Però se il Conte Dracula fosse rimasto il cospiratore allupato di questa prima versione e non l’ombra sinistra ma anche magnetica, terrificante e tuttavia seducente, del Dracula definitivo non avrebbe colonizzato l’immaginario di intere generazioni nei 120 anni successivi.