Tutto comincia in Norvegia quando uno scienziato riesce in ciò che sembrava impossibile: rimpicciolire gli esseri viventi senza provocare alcun danno. Insieme all’amata moglie e a un gruppo di volontari sarà il primo a sottoporsi all’esperimento formando una comunità prototipo di «piccoli» sulla terra, una sorta di Christiania immersa nel verde e fuori dal tempo destinata a diventare l’alternativa al nostro modo di vita, e soprattutto il modo più efficace per salvare il Pianeta, e la specie umana dall’estinzione. Consumi ridotti, niente più inquinamento e nemmeno miseria, criminalità, discriminazione sostituiti da agio per tutti: un mondo da favola, almeno in apparenza (e le favole come i miracoli sappiamo che non esistono).

Downsizing di Alexander Payne (Paradiso amaro) ha aperto ieri la Mostra del cinema di Venezia numero 74 inaugurazione con star, Matt Damon in testa atteso sin dalla mattina sul red carpet dai fan, e «grandi temi», l’ambiente, la società contemporanea e i suoi conflitti – violenza, sopraffazioni, diseguaglianze attraversati dal regista del Nebraska nell’esperienza del suo protagonista, Matt Damon, maschio «comune» a disagio con se stesso nel mondo.

È lui il personaggio chiave della narrazione, Paul Safranek, che già nessuno pronuncia il nome in modo giusto, fisioterapista del lavoro voleva essere medico e invece ha dovuto mettere da parte le proprie aspirazioni per curare la madre ammalata. Insieme alla moglie (Kristen Wiig) pensa di comprare una casa nuova – «Vivo ancora dove sono cresciuto» – ma non hanno abbastanza soldi e intanto le giornate colano via nella provincia di un’America che non ha mai guardato fuori dai sogni spacciati a buon mercato, tra serate al bar e debiti universitari ancora da pagare. Per Paul, e per tanti uguali a lui, quel piccolo mondo nuovo è il posto che aspettava dove ricominciare, lì anche con le loro risorse modestissime lui e la moglie potranno permettersi ciò che hanno sempre voluto e che probabilmente non otterranno mai.

Più che una  parabola sui disastri ambientali Downsizing appare come il romanzo di formazione di un personaggio stonato, i gaffeur della vita che piacciono molto al regista di Sideways (autore anche della sceneggiatura insieme a Jim Taylor), espressione di un modo di essere, di un sentimento sospeso tra paralisi e desiderio di cambiamenti epocali (privati) destinati a grandi disillusioni. «Sei davvero patetico» ripete al povero Paul versione miniatur il godurioso vicino di casa, serbo ovviamente, (Christoph Waltz a cui si devono le battute migliori del film) esperto di vita, di piaceri e di economie sommerse.

Già perché sotto la capsula che la protegge dalle insidie ambientali, la terra dei minuscoli che i «giganti» hanno già cominciato a guardare con ostilità imputandogli crisi economica, svalutazioni immobiliari e quant’altro – non è poi così differente dall’altra – farebbe la gioia di uomini di affari alla Trump e pure come il Berlusconi di Milano 2. L’utopia del suo inventore come tutte le grandi scoperte dell’umanità è stata certamente sostenuta dalle migliori intenzioni, cosa accade poi, gli scopi per cui viene utilizzata, i risultati «concreti» dietro l’immagine dell’«esistenza perfetta» del marketing studiato per conquistare adepti al rimpicciolimento sono «dettagli» che vanno al di là delle taglie. Ma in fondo poco importa: perché chi passa dall’altra parte non vuole salvare la Terra, cerca piuttosto una via di fuga a quanto non funziona della propria esistenza, l’altrove che però, sembra dirci Payne, sta dentro di noi e non fuori e per scoprirne i contorni «liquidi» dobbiamo uscire dal buco, aprire gli occhi, la testa, il cuore.

Solidarietà – pure se qui un po’ troppo di fede – come forma rivoluzionaria? Non a caso a «svegliare» Paul l’americano medio che forse non vota Trump ma non conosce cosa accade oltre al muro che lo rende sicuro, saranno un serbo – «sono una merda ma la merda serve a concimare la Terra» e una vietnamita dissidente (a proposito la sua battuta ci sono otto modi per scopare, per sesso, amore, dirsi addio, fare pace, amicizia, pietà, vendetta, soldi è già «cult»). È tanto, forse anche un po’ troppo. E infine anche il regista finisce un po’ per perdere di vista tra tutti questi soggetti importanti quello che gli riesce meglio, il racconto di quelle strane, assurde esistenze che non sanno stare al mondo. Forse perché non lo conoscono abbastanza.