Cosa hanno in comune un’università privata, una stazione zoologica e una cordata di industrie prevalentemente appartenenti al settore alimentare? Mentre ci pensate rileggiamo il testo di un vecchio successo di Lucio Dalla:

 

«(…)

Frattanto i pesci
Dai quali discendiamo tutti
Assistettero curiosi
Al dramma collettivo di questo mondo
Che a loro indubbiamente doveva sembrar cattivo
E cominciarono a pensare
Nel loro grande mare
Com’è profondo il mare
(…)

È chiaro che il pensiero dà fastidio
Anche se chi pensa è muto come un pesce
Anzi un pesce
E come pesce è difficile da bloccare
Perché lo protegge il mare
Com’è profondo il mare

Certo, chi comanda
Non è disposto a fare distinzioni poetiche
Il pensiero come l’oceano
Non lo puoi bloccare
Non lo puoi recintare

Così stanno bruciando il mare
Così stanno uccidendo il mare
Così stanno umiliando il mare
Così stanno piegando il mare.»

 

Era il 1977. Il dramma collettivo, oggi, ce l’abbiamo sicuramente molto più chiaro di quanto non fosse allora, anche per i molti che cantarono questa canzone.

 

Le università private hanno bisogno di aziende che le sostengano e questo vale anche per Unisg, l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Cn), forse l’ateneo più piccolo d’Italia, ma anche quello che ha aperto la strada al riconoscimento ufficiale delle (tantissime) discipline collegate alla produzione, distribuzione e consumo di cibo e al fatto che vanno studiate in modo integrato. L’università di Pollenzo conta su quelli che chiama “Partner Strategici”: industrie, consorzi e altri soggetti che la finanziano e che in cambio, come è giusto che sia, ottengono qualcosa. Cosa? Sicuramente il piacere e l’orgoglio di partecipare ad un progetto alla costruzione di un modello alternativo rispetto al sistema alimentare dominante, con tutte le contraddizioni, ma anche i valori connessi al fatto di sostenere un’istituzione che si propone di cambiare proprio il sistema di cui fanno parte. Le cose non si cambiano solo restandone fuori, ma anche accompagnandole al cambiamento dall’interno. Le aziende che (supportano) sostengono l’Università di Scienze Gastronomiche ne condividono il progetto, la visione, ma in cambio non ricevono solo visibilità e ricerca. In cambio ricevono anche formazione e qualche strumento per entrare nel gruppo dei protagonisti del cambiamento. Uno di questi strumenti è il Laboratorio per la Sostenibilità e l’Economia Circolare creato da Unisg due anni fa, e che oggi ha proposto ai partner strategici di siglare, con l’Università, un Patto per il mare.

Non importa se produciamo pasta, birra, pentole, caffè, packaging o se offriamo servizi. Non importa nemmeno se non produciamo nessuna di queste cose ma semplicemente le utilizziamo. Quello che importa è che, qualunque azione dell’essere umano ha una ripercussione in mare, prima o poi.

Al mare, invece, non pensiamo mai. Ce lo dimentichiamo, come ha detto Roberto Danovaro, biologo marino e presidente della Stazione Zoologica Anton Dorhn di Napoli, nella lectio che il mese scorso ha aperto l’incontro tra i partner strategici di Unisg e il comitato scientifico del Laboratorio. Ci dimentichiamo che il mare ci nutre (il mondo consuma più prodotti ittici che polli; e più alghe che prodotti ittici) ; ci dimentichiamo che i ritmi di “produzione” del mare non li comandiamo noi, ma li possiamo molestare e lo facciamo, non solo sovrapescando ma anche – e soprattutto – disturbando gli equilibri chimici e biologici che regolano la rigenerazione di quell’ambiente e dei suoi abitanti.

Per questo serve un Patto, e le aziende che supportano l’Unisg sono state chiamate a sottoscrivere un “Patto con il mare per la terra”. Per ricordare a tutti che il mare esiste, che non è la nostra discarica e che è possibile, se il mondo della produzione e quello della ricerca si alleano, arrivare a quella che Silvio Greco, biologo marino e direttore del Laboratorio di Unisg, ha chiamato «un’economia realmente a misura d’uomo, fatta di innovazione, ricerca, energie rinnovabili, tutela, risparmio, recupero, rigenerazione e circolarità delle sue risorse».

Un patto vero, quindi, duro, fatto di memoria, di pensiero, di competenze e di innovazione. Un patto che prevede che abbiano ruolo, insieme alle imprese e alla ricerca, anche le istituzioni, le quali non possono, a qualunque livello operino, non occuparsi del mare.

Gli obiettivi del patto sono innanzitutto la ricerca, e dire ricerca significa dire fondi. Non si fa ricerca senza denaro, e non si applicano i risultati della ricerca senza costruzione diffusa di competenze. Questo significa formazione: il vero tornaconto che i firmatari del patto otterranno dall’alleanza della quale entrano a fare parte. Formazione e consapevolezza per comprendere che il mare non inizia sulla battigia che frequentiamo di tanto in tanto, né nelle foto dei tramonti che ammiriamo sui social. Il mare è iniziato molto prima di noi, e dal mare siamo iniziati noi.

Qualche anno fa, in una campagna di educazione civica che aveva l’obiettivo di impedire alle persone di buttare rifiuti e in particolare mozziconi di sigarette nei tombini, alcune città francesi e italiane apposero accanto ai tombini delle scritte che dicevano «non buttare niente, qui comincia il mare».

Ecco, domandiamocelo più spesso dove comincia il mare. Non comincia solo dai tombini. Comincia nelle singole minime scelte produttive, normative o di consumo che compiamo ogni giorno. Comincia dalla decisione di pulire a mano il nostro cortile anziché con un diserbante chimico. Comincia dalla raccolta differenziata fatta per bene. Comincia dall’evitare materiali non riciclabili per il packaging di quel che produciamo. Comincia, anche, dal mancato acquisto di un oggetto che non ci serve (abito, cibo, cosmetici) cioè che non si mette al nostro servizio ma al servizio di chi rapina l’ambiente per profitto cieco.

Dovremmo tatuarcela metaforicamente sulla pelle quella scritta: «qui comincia il mare». E, meno metaforicamente, ci farebbe bene leggerla più spesso sugli edifici pubblici e privati, nelle strade, sulle confezioni dei prodotti, all’ingresso delle industrie, delle scuole e degli uffici in cui ci rechiamo ogni giorno. Certo, come diceva Dalla 45 anni fa, «chi comanda non è disposto a fare distinzioni poetiche», ma chi non comanda invece spesso lo è o può diventarlo, modificando così i propri comportamenti di consumo – e di voto – per provare a salvarlo, quel mare che ci salverà.