Angelo Pezzana
«Non era certo facile essere un omosessuale negli anni ’70, neanche a sinistra. Il Pci, per dire, era di un moralismo spaventoso e cominciò a valutarci come probabile elettorato soltanto a metà degli anni ’80». Nella storia del movimento omosessuale italiano Angelo Pezzana è una sorta di pietra miliare, il punto zero da cui prese il via la lunga battaglia prima per il riconoscimento dell’identità e poi per i diritti delle persone omosessuali in Italia. Battaglia che dura ancora oggi e che ha sempre trovato ostacoli anche a sinistra. Nel 1971 Pezzana – che oggi ha 74 anni, scrive libri e continua la sua attività di giornalista a Torino – fonda il Fuori, Fronte unitario omosessuale rivoluzionario italiano, la prima organizzazione a battersi per i diritti degli omosessuali.

«Ho sempre avuto un po’ la mentalità della suffragetta», ricorda. «È stata una grande battaglia della mia vita, cominciata in un clima del tutto sfavorevole, perché allora la parola omosessuale non veniva nemmeno scritta sui giornali. Si usavano eufemismi come ‘il terzo sesso’, ‘i balletti verdi’, ‘quelli così’, oppure ‘il turpe ambiente’. Eravamo soltanto nelle pagine di cronaca nera dei quotidiani. All’epoca seguivo quanto accadeva in America e in Francia dove gli omosessuali cominciavano a organizzarsi e allora ho detto: noi dobbiamo fare un movimento anche in Italia. E da lì è nato il Fuori».

Come è nato il nome?

È la traduzione italiana dell’inglese «come out». Però bisognava dare una spiegazione delle iniziali: allora F era fronte, U unitario, eravamo solo noi quindi faceva anche un po’ sorridere. O omosessuale, I italiano. Per la R non sapevano proprio cosa mettere, poi qualcuno disse ‘Metttiamo rivoluzionario, in fondo stiamo ben rivoluzionando qualcosa, noi stessi se non altro’. E allora abbiamo messo Fuori.

Cosa significò venire allo scoperto?

Significò rientrare nella propria personalità, uscire dalla doppia vita, una vita monca, spezzata, dove una parte così importante doveva essere nascosta. Noi abbiamo lottato per essere visibili, per poter essere, non tanto esibire, perché non c’era niente da esibire. Però provocare sì, perché era l’unico modo per dire ci siamo, voi dovete riconoscerci per quello che siamo.

Come si manifestava l’omofobia?

Con l’ignorare l’omosessualità. Ad esempio nella cerchia di amici, intellettuali e progressisti, si diceva: ‘Sappiamo tutti che tu sei omosessuale, ma che problemi hai, non si tratta neanche di accettazione a noi vai benissimo, figurati’. Questa era la crema intellettuale che ha sempre ignorato i problemi generali di una società e dalla quale poi mi sono staccato in maniera decisa. Dovevamo fare qualcosa e il qualcosa venne con la prima manifestazione omosessuale in Italia che fu nell’aprile del 1972 a San Remo, dove c’era un congresso internazionale di psichiatria e noi andammo lì a contestare dicendo ‘Voi non avete il diritto di parlare di noi, siamo noi che dobbiamo parlare di noi stessi’.

PezzanaMosca1977
Lei ha manifestato anche in Urss.

Quando c’era Breznev nel ’77. L’intenzione era di arrivare sulla piazza Rossa e appendermi un cartello con la scritta in inglese «Stop con l’articolo 121 freedom for omosexual in Ussr». Feci appena in tempo a farmi scattare qualche fotografia dalla Associated Press che il Kgb, che mi aveva sempre seguito, mi prese e mi portò via alla Lubyanka.

Come vede la condizione degli omosessuali oggi in Italia?

Il momento della frattura tra il prima e il dopo sta nel cambiamento di due concetti: visibilità, che noi abbiamo raggiunto, e conquista dei diritti, che invece non ci sono. Noi non abbiamo nessun diritto, non esistiamo. E questa è la grande battaglia che finalmente fanno tutti i gruppi omosessuali che hanno cominciato a fare politica dentro le istituzioni.

E come la vive la sua omosessualità?

Come una persona che ha vissuto tante esperienze, che si rende conto che moltissimi non le conoscono perché non si è diffusa una cultura della liberazione omosessuale in Italia. Quindi la vedo da un lato in maniera un po’ triste, dall’altro con molto orgoglio perché vedo che finalmente si lotta per delle cose concrete, matrimonio, famiglia, figli e questa è una cosa che mi emoziona.

Purtroppo oggi ancora si muore perché si è omosessuali.

È il prezzo da pagare per la visibilità. Abbiamo una società da cambiare e sappiano che purtroppo ci saranno le vittime. Quando i gay si nascondevano si veniva disprezzati nell’ombra, Adesso che c’è la visibilità abbiano fatto capire alla maggioranza omofoba che siamo uguali a loro, è per questo che hanno paura di noi. Mi ha commosso la fotografia di Nichi Vendola con il suo fidanzato pubblicata dal Corriere, due ragazzi normali con senso dell’umorismo e i colori dell’arcobaleno disegnati sui volti. Mi ha commosso perché ho pensato: guarda quanto è contemporanea e moderna questa immagine di una coppia che magari vorrà sposarsi, vorrà fare dei figli. Io invece sono al di là di questa età, è un futuro che non mi appartiene più e questo mi dà angoscia. Quando invece sento che un ragazzo si è ucciso perché gay, mi viene dentro una grande rabbia e un odio, perché io ho ancora l’odio dentro di me. So cosa vuol dire avere sulla pelle lo stigma dell’esclusione.