L’illusione di una conclusione relativamente facile della lunga trattativa tra i partiti di maggioranza e il ministro del Tesoro sulle cifre della legge di bilancio svanisce alla vigilia della riunione decisiva del consiglio dei ministri, previsto per stasera alle 18, previo ennesimo vertice di maggioranza e confronto diretto Salvini-Di Maio. Le possibilità di trovare una quadra in extremis non sono esaurite e il sottosegretario leghista Siri ieri parlava di «tensioni non insormontabili».

Di certo però ieri quelle tensioni non erano neanche un po’ sormontate e la situazione era anzi molto vicina al classico muro contro muro, con Tria arroccato nella difesa di una manovra accettabile per l’Europa, con il deficit intorno all’1,8%, Di Maio deciso a ottenere ben altri fondi, portandolo al 2,4%, e una Lega che, dopo aver ammorbidito i toni negli ultimi giorni, è a un passo dal fare fronte con i 5S, non avendo ottenuto da Tria le concessioni previste sulla revisione della legge Fornero.

Il dissenso tra la maggioranza e un ministro dell’Economia che si configura ormai quasi più come una controparte che come una componente omogenea del governo, è esploso. Era nell’aria sin dal mattino quando Tria, di fronte alla platea di Confcommercio aveva difeso a spada tratta la sua barricata, in un discorso che suonava come un niet senza appello opposto alle pressioni dei 5S.

«Ho giurato nell’esclusivo interesse della nazione e non di altri», aveva scandito il ministro prima di sottolineare la necessità di muoversi con prudenza e mantenendo i conti in ordine.

Fino a un’aperta «dichiarazione di pace» rivolta alla Ue: «Le polemiche con l’Europa non hanno senso. Dobbiamo continuare ad avere la fiducia di chi vuole sottoscrivere il nostro debito. Se si crea incertezza nessuno investe e nessuno consuma. Se pensano che ci sarà un disastro dovremo restituire i soldi investiti».

Tria era certamente al corrente della bellicosa riunione della sera prima, dove un M5S sempre meno soddisfatto dalla piega che stavano prendendo le cose aveva deciso di sfidare via XX settembre apertamente, chiedendo una manovra ben più corposa di quella del Mef: «Con l’1,6-1,7% non si va oltre una finanziaria alla Gentiloni. Ci vuole un deficit al 2,4%». Ma era anche certamente consapevole dell’avvertimento del commissario Moscovici: «La legge di bilancio italiana deve tenersi ben al di sotto del 2%».

Che il monito di Tria, mai così esplicito, fosse diretto ai due vicepremier era evidente. Ma soprattutto a Di Maio, che intanto insisteva sulla «Manovra contro la povertà», ripetendo che «se non è coraggiosa non la votiamo», e rispondeva a muso duro a Moscovici: «Quando era ministro dell’Economia ha abbondantemente sforato il 3%. Non venga a fare la morale a noi». Salvini e il Carroccio, invece, sembravano molto più disposti ad accogliere il progetto del Mef: una manovra con pochissimo di tutto, in cui il reddito di cittadinanza è tale solo di nome e si risolve di fatto in un reddito di inclusione potenziato e nemmeno di tanto, un miliardo aggiunto ai 2,5 già previsti, e la Flat Tax non va oltre un contenutissimo intervento sull’Iva.

Ma se il Carroccio aveva scelto una linea soffice non era perché Salvini si fosse convertito alla logica delle compatibilità del ministro del Tesoro ma perché era convinto di avere già in cassaforte l’obiettivo principale, quella revisione della Fornero che basterebbe a fare la differenza in termini di popolarità e che, pur essendo richiesta da entrambi i partiti di maggioranza, risulta quasi in esclusiva quota leghista.

La doccia fredda è arrivata nel pomeriggio. Intervento sulla Fornero sì, ma non delle proprozioni vagheggiate, e pubblicamente promesse, dal leghista: quota 100, 62 anni di età, 38 di contributi. Impossibile: troppo onerosa. La Lega si riavvicina ai sempre più agguerriti 5S, Salvini convoca un vertice d’urgenza, il premier si fa mallevadore di una mediazione: asticella al 2%, forse anche un po’ sopra, ma con fondi destinati soprattutto agli investimenti.

Alla fine il leader della Lega torna a mostrarsi conciliante: «L’accordo c’è. Lo zero virgola in più o in meno è l’ultimo dei problemi e nessuno farà gesti eclatanti”. Ma l’accordo, invece, non c’è. Forse verrà trovato nella notte oppure oggi prima della riunione del governo. Forse la discordia vedrà i due partiti coalizzati contro il ministro. Ma non è escluso che invece a fronteggiarsi siano proprio la Lega “responsabile” e un M5S che si sente messo alle corde.