Dopo tre vicende ambientate nella prima guerra mondiale (Joyeux Noël Una verità dimenticata dalla storia, 2005), nella seconda (En mai, fais ce qu’il te plaît, 2015) e sul finire della guerra fredda (L’affaire Farewell, 2009), il regista francese Christian Carion torna ai giorni nostri con Mio figlio.

I protagonisti sono Marie e Julien, due genitori divorziati che si ritrovano a causa della scomparsa del figlio Mathys da un campo scuola. È fuggito? È stato rapito? È colpa della madre che ora sta con un altro uomo e prova ad avere un secondo figlio? È colpa di un padre  assente?

Domande alle quali non possiamo rispondere perché, come in una porta girevole, ci ritroviamo a un certo punto fuori dal dramma famigliare e dentro una vicenda misteriosa che ha i contorni del thriller e della spy story, con Julien unico personaggio. Di questo «secondo film» non si può dire altro perché si cadrebbe nel peccato capitale dello spoiler. Fatto sta che il mistero alimentato dalla sceneggiatura scritta da Carion insieme a Laure Irrmann è lo stesso con il quale si è cimentato l’attore protagonista Guillaume Canet, il padre in cerca del figlio.

Alla base del progetto, infatti, stava l’ambizione di girare un film in sei giorni senza che l’interprete principale conoscesse lo script. E così è stato. Certi virtuosismi, però, riescono solo se le modalità produttive restano al servizio della storia e non, al contrario, se ci si innamora di un’idea fine a se stessa.