A tempo di record, il parlamento ha convertito il decreto legge che introduce la doppia preferenza di genere nelle elezioni regionali in Puglia e che il governo si era risolto a emanare appena sette giorni fa di fronte all’inerzia del consiglio regionale. Dopo l’approvazione della camera, ieri in senato i sì sono stati 149. Nessun non, ma 98 astenuti dall’opposizione che ha detto di condividere l’obiettivo (non così i rappresentanti del centrodestra in Puglia che hanno fatto ostruzionismo), ma di non poter apprezzare il metodo.

Il governo infatti in maniera assolutamente inedita ha deciso di sostituirsi al consiglio regionale, sulla base del fatto che il principio delle pari opportunità anche nelle competizioni elettorali è un principio costituzionale non aggirabile. Lo ha fatto dopo che era caduta nel vuoto una diffida (partita in verità assai tardivamente) perché la regione si adeguasse. E lo ha fatto scegliendo lo strumento del decreto legge, che in ultima analisi dopo il voto di conversione scarica sul parlamento la responsabilità di sostituirsi all’autonomia regionale (alla quale solo spetterebbero le regole per le elezioni dei consiglieri). Tutti argomenti (ai quali si aggiunge quello che il decreto legge non è utilizzabile in materia elettorale) alla base delle critiche nel metodo. Ma sul merito nessuno se l’è sentita di obiettare, almeno apertamente.

Con la nuova legge, ogni elettore pugliese potrà esprimere due preferenze che, nel caso, non potranno essere su candidati dello stesso sesso. Bene, ma resta inapplicato l’altro principio che è invece recepito da quasi tutte le altre legislazioni elettorali regionali: quello che le liste devono essere composte in maniera non troppo sbilanciata in favore di un sesso (almeno 60% e 40%). In questo caso il governo ha usato la mano leggera, rinunciando sia a prevedere l’inammissibilità delle liste che non rispettino questo criterio minimo di rappresentanza sia a cancellare tutti i candidati del sesso prevalente in eccesso. Il ministro per gli affari regionali Boccia, soddisfatto per l’esito ieri in senato, ha avvertito le ultime due regioni che ancora non prevedono la doppia preferenza – Piemonte e Calabria, che però non andranno al voto a settembre – che se non si metteranno in regola in regola «lo faremo noi».

A rovinare pesantemente la giornata, la dichiarazione di voto del senatore Calderoli, secondo il quale «la doppia preferenza di genere danneggia il sesso femminile perché normalmente il maschio è maggiormente infedele della femmina». Il senatore leghista ha parlato in aula di «accoppiamenti», probabilmente riferendosi ad accordi elettorali ma chiaramente compiacendosi del gioco misogino e volgare: «Il risultato – ha insistito – è che il maschio si porta i voti di quattro o cinque signore e le signore non vengono elette». «Questo atteggiamento – ha commentato il capogruppo del Pd Marcucci – descrive benissimo la destra, che infatti ha applaudito Calderoli a scena aperta». Tra i più divertiti inquadrati dalla telecamera, Salvini