«Le elezioni aprono come sempre una pagina bianca: a scriverla saranno gli elettori e, successivamente, i partiti e il parlamento». Manca qualcuno da questo elenco che il presidente della Repubblica ha proposto agli italiani la sera del 31 dicembre, nel tradizionale messaggio di fine anno. Manca proprio lui, il capo dello stato, che tra due mesi o poco più diventerà il protagonista della scena politica. Quando si troverà di fronte il risultato delle elezioni del 4 marzo.

Non è solo questione di stile presidenziale, il fin troppo citato low profile che segna il settennato: se Mattarella si è tenuto in disparte – fino a confondersi con il comune elettore quando ha detto che ai partiti e al parlamento «sono affidate le nostre speranze e le nostre attese» – è innanzitutto per rispetto della Costituzione e delle procedure che regolano la formazione del governo. Saranno i partiti, attraverso le necessarie valutazioni e intese, e poi i gruppi parlamentari quando si saranno formati alla camera e al senato, a dover parlare durante la fase delle consultazioni. Il capo dello stato nel sistema italiano si muove lungo un sentiero tracciato e questo Sergio Mattarella ha tenuto a precisarlo per almeno tre ragioni.

LA PRIMA è quella di responsabilizzare le forze politiche. Che in questa campagna elettorale sembrano muoversi in un universo parallelo. Un universo governato da leggi che prevedono l’indicazione di un candidato premier – la questione del tutto improponibile ha fatto accapigliare le alleanze e persino i partiti singoli – e dove non è necessario porsi il problema delle intese post elettorali. Dove l’obiettivo è quello di «non far vincere gli altri» (lo ha detto il «capo» del Movimento 5 Stelle) oppure «avere il più grande gruppo parlamentare» (lo dice ancora Renzi, senza spiegare per farci cosa).

Qualche giorno fa nel suo discorso per gli auguri alle cariche dello stato, quando parlava direttamente ai leader politici presenti nel salone dei corazzieri al Quirinale, il presidente era stato anche più diretto: «Il prezioso assetto pluralistico che ci assegna la Costituzione – aveva detto – suggerisce e richiede consapevolezza dell’interesse generale». Rivolgendosi ai cittadini la sera di fine anno ha comunque fatto un accenno al problema, quando ha ricordato che «specialmente chi riveste un ruolo istituzionale deve avvertire in modo particolare la responsabilità nei confronti della Repubblica». È con messaggi del genere che il presidente si prepara a gestire una fase in cui alle forze politiche si chiederà – dovrà chiederlo proprio lui – di mettere da parte gli slogan elettorali. Per farsi carico delle necessarie intese e del dovere di governare.

Ma il richiamo alla responsabilità vale già per questa fase, quella dei comizi. Ai partiti il capo dello stato torna a chiedere «proposte adeguate, realistiche e concrete». Deve farlo perché è già in piedi il castello delle promesse mirabolanti: tasse abbattute, redditi garantiti, frontiere blindate, Europa messa in riga, milioni di posti di lavoro… Ma lo fa anche perché è convinto che sarà proprio a partire dalla ricerca delle soluzioni – «i problemi che abbiamo di fronte sono superabili. Possiamo affrontarli con successo facendo, ciascuno, interamente la parte propria» – che sarà possibile cercare un filo nel lavoro che lo attende, quando dovrà dare l’incarico di formare il governo.

LA SECONDA ragione per la quale Mattarella insiste sul ruolo centrale degli elettori e dei partiti è ovviamente quella di motivare i cittadini e scoraggiare l’astensionismo: «Mi auguro un’ampia partecipazione al voto e che nessuno rinunci al diritto di concorrere a decidere le sorti del Paese».

Il discorso di capodanno ha avuto il pregio di affrontare subito il tema delle elezioni – e il difetto di non citare per niente la mancata riforma della cittadinanza, malgrado quel fallimento dipenda in qualche misura anche dallo scioglimento anticipato. La terza ragione per la quale Mattarella ha tenuto il suo ruolo, in vista dei prossimi passaggi istituzionali, totalmente in ombra è quella di prepararsi a gestire le critiche. Comprensibile. È vero che «andremo a votare con una legge elettorale omogenea per le due camere», ma non c’è alcuna garanzia che il risultato indicherà chiaramente una coalizione vincitrice. Nel caso così non fosse, il presidente della Repubblica dovrà indicare una via d’uscita che inevitabilmente scontenterà qualcuno e alimenterà delusioni (reali o solo propagandistiche cambia poco). Come conseguenza dell’inevitabile protagonismo che lo attende, Mattarella si prepara a diventare un bersaglio delle polemiche politiche. Sarà la prima volta per lui, quasi a metà mandato.