«La pace è l’unica strada contro la barbarie. Basta morti inutili». Parole coraggiose quelle pronunciate da Pastor Alape, uno dei mediatori della guerriglia marxista delle Farc, al tavolo di trattativa con il governo colombiano, in corso all’Avana. Un messaggio forte soprattutto dopo il massacro di 26 guerriglieri, uccisi nel sonno dalle bombe governative e quello di altri 5, lunedì. I bombardamenti del presidente neoliberista, Manuel Santos, giovedì scorso hanno devastato il dipartimento del Cauca, nella parte sud-occidentale del paese. Il Difensore del popolo della Colombia, che si è recato nella zona dopo il massacro, ha dichiarato che 352 persone hanno dovuto lasciare le proprie abitazioni, tra questi 27 bambini tra zero e cinque anni e altri minori tra sei e diciassette anni.

Le Farc hanno annunciato la fine della tregua unilaterale, dichiarata a dicembre scorso e rispettata nonostante i continui attacchi militari. Sordo alle richieste delle organizzazioni popolari, che hanno sostenuto la sua rielezione a patto che portasse avanti con conseguenza il processo di pace, Santos ha sempre rifiutato di rispondere con una tregua. Tra gennaio e aprile di quest’anno, sono oltre 40 i militanti Farc ammazzati dall’esercito.

Molte le proteste della sinistra dopo il massacro: da Clara Lopez, ex candidata alla presidenza per il Polo democratico alternativo, al senatore Ivan Cepeda, all’ex deputata Piedad Cordoba. Venerdì scorso, leader indigeni, associazioni femministe e giovanili e militanti del Partito comunista colombiano hanno manifestato contro il massacro e chiesto a gran voce una tregua bilaterale.

Governo e guerriglia partecipano ai tavoli dell’Avana dal novembre del 2012, sotto l’egida della Norvegia e del Venezuela. Un tentativo per portare a soluzione politica il conflitto armato che dura da oltre mezzo secolo e che ha provocato oltre 200.000 morti. Attualmente è in corso la 37ma tornata che, nelle intenzioni della guerriglia e della sinistra che sostiene le trattative, dovrebbe porre premesse certe per un cambio strutturale in Colombia, paese di forti disuguaglianze e di chiusure cinquantennali degli spazi di agibilità politici per l’opposizione.

Il campo che sostiene il cambiamento spinge per portare a casa un risultato che coinvolga e impegni tutte le parti in conflitto: a partire dalle vittime, dalla Commissione per la Verità che ha analizzato cause e cifre della guerra, passando per i militari e per chi può portare alla fine del paramilitarismo.

Su richiesta della guerriglia, si è affacciato al tavolo dell’Avana anche uno dei principali attori nelle violenze: Washington che, pur senza prendere impegni, ha lasciato intendere di aver dato il via libera ai piani di Santos. Intanto, si è dato inizio a un piano congiunto di sminamento del territorio, fra componenti dell’esercito e delle Farc.

Durante una recente visita in Colombia, il primo ministro cinese Li Keqiang ha detto che il suo paese investirà 8 milioni di dollari nel post-conflitto. In discussione ci sono però ancora punti importanti, come il rientro nella vita politica dei guerriglieri e l’uscita dal carcere dei prigionieri, alcuni dei quali detenuti nelle carceri Usa.

E’ invece stato liberato dopo 9 anni di detenzione, Julian Bolivar, il paramilitare pluriomicida, amico dell’ex presidente Alvaro Uribe, ferocemente avverso alla soluzione politica.