Germania e Francia chiedono risposte sul Datagate. Obama, pressato, glissa. La Casa Bianca ha affermato che intende rivedere le norme di funzionamento in fatto di spionaggio dei leader stranieri. La presidente della Commissione di intelligence del senato Usa, Dianne Feinstein, lo aveva dato per certo, dichiarando che l’esecutivo le aveva assicurato che «la raccolta di informazioni sui nostri alleati non continuerà». In concreto, però, niente indica che la decisione sia stata realmente presa. Gli impegni restano vaghi, sia di fronte agli alleati europei che a livello interno, in risposta alle critiche che si levano anche dal Congresso.
Lunedì sera, Obama ha annunciato una riforma dell’intelligence elettronica e una revisione delle procedure: «per essere certi – ha detto in un’intervista alla televisione – che quel che sono capaci di fare non diventi quel che devono fare». Si riferiva allo strapotere dell’Agenzia per la sicurezza Usa (Nsa) e alle sue potenti diramazioni, ormai senza (apparente) avallo politico e senza vincoli giuridici. Sullo spirito della promessa riforma, già ventilata ad agosto e allora prevista per marzo, nessuna novità. Obama ha ribadito quanto dichiarato in precedenza e confermato dai vertici dei suoi servizi segreti: occorre cercare «un equilibrio tra la sicurezza dei cittadini e del paese» (dentro e fuori i confini Usa), e la privacy. E farlo mantenendo buoni rapporti con i più importanti alleati. Il testo con le nuove norme dovrà essere pronto per il 15 dicembre. A stilarlo sarà una commissione di 5 esperti: giuristi, esperti di leggi e privacy, e grossi calibri come Richard Clarke, coordinatore nazionale per la sicurezza e l’antiterrorismo sotto Bill Clinton e George W. Bush, o come l’ex vicecapo della Cia Michael Morell. Quest’ultimo è intervenuto a più riprese sui media per difendere le attività di intelligence e per ricordare agli alleati il ricorso a pratiche analoghe da parte dei loro servizi segreti.
L’Europa, ha rivelato Snowden, era massicciamente spiata. La Procura generale di Madrid ha aperto un’inchiesta per stabilire se esistano indizi di reato nelle presunte intercettazioni telefoniche della Nsa nei confronti dei cittadini spagnoli. E cosa sapeva Obama dello spionaggio al cellulare della cancelliera tedesca Angela Merkel? È vero che ha autorizzato le intercettazioni oppure ne era all’oscuro? Lunedì, il portavoce di Obama, Jay Carney, ha evitato di rispondere, e anche il presidente ha cercato di non entrare nel merito. Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel, che ha esaminato i documenti segreti del Datagate, Obama era al corrente dell’esistenza delle intercettazioni dal 2010: perché la lista delle personalità monitorate (definita National Intelligence Priorities Framework) è riattualizzata ogni 18 mesi circa, e reca la dicitura «presidentially approved». Il direttore della Nsa, il generale Keith Alexander, al centro dello scandalo Datagate, ha però smentito che Obama sapesse e il presidente gli ha riconfermato la piena fiducia.
Certo, fanno notare alcuni analisti, Obama all’epoca era più preoccupato per le questioni interne – la riforma sanitaria e la crisi economica – ed è anche possibile che il responsabile dell’antiterrorismo dell’epoca, John Brennan, non sia entrato nei dettagli, conoscendo lo scarso interesse del presidente per le questioni di intelligence: non a caso, in campagna elettorale aveva alzato la bandiera della trasparenza. E anche quella di altre battaglie di civiltà, come la chiusura di Guantanamo e la fine delle uccisioni estragiudiziarie. Invece, Guantanamo è ancora lì e i droni – gli aerei senza pilota – mietono bersagli e vittime civili con l’apporto della Nsa. Glielo ha ricordato ieri la 149ma sessione della Corte interamericana per i diritti umani, che ha esaminato per la prima volta l’attività della Nsa e si è mostrata preoccupata per l’impatto sui diritti umani e sulla libertà di espressione.
Dopo l’11 settembre, quando la Francia e la Germania si opponevano all’intervento in Iraq, lo spionaggio era di carattere strategico. In seguito, l’interesse è stato prevalentemente economico. E se, a metà degli anni ’90, l’indignazione di fronte al programma Echelon è rientrata in fretta, ora la questione può produrre qualche riflesso in più nella ridislocazione di un mondo multipolare. La Russia, come dimostra anche lo scherzo delle chiavette usb con intercettazione incorporata distribuite al G20 agli intervenuti, nella faccenda Snowden (a cui ha concesso asilo umanitario) è apparsa come il solo stato in grado di tener testa agli Usa. Sul gadget del G20, la Commissione europea ha annunciato controlli in corso. Ma per la Russia, si è trattato «di un chiaro tentativo di sviare l’attenzione» dal Datagate. I governi socialisti dell’America latina hanno alzato la voce. Hanno concesso asilo politico a Snowden e l’Ecuador ha minacciato di denunciare la Gran Bretagna agli organismi internazionali se non accetta di risolvere il caso di Julian Assange, ancora imbottigliato nella propria ambasciata a Londra. Il Brasile, alleato degli Usa nella regione, guida la protesta. Dilma Rousseff, spiata come Merkel, ha proposto all’Onu una risoluzione comune per chiedere nuove norme di intelligence. La delegazione di parlamentari europei che si è recata negli Usa per il Datagate è stata snobbata dai vertici dell’amministrazione Usa, ma il voto dell’europarlamento è necessario per attivare gli accordi fra Usa e Ue.
Il mastodontico apparato di sicurezza, dispiegato dopo l’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 e l’approvazione del Patriot Act è anche un gigantesco intreccio di interessi ( militari, politici, economici) difficile da intaccare. La ricerca del profitto non riconosce amici né frontiere, dicono i codumenti del Datagate. Senza metterne in causa la natura, «l’indignazione» di chi utilizza le stesse pratiche è solo cortina di fumo.