Sorride in questi giorni il presidente siriano Bashar Assad ascoltando le notizie che arrivavano da Istanbul. Il premier Tayyp Recep Erdogan che lo accusa dei peggiori crimini, ora suda freddo anche lui di fronte alle decine di migliaia di persone che in tutta la Turchia manifestano contro il suo governo. Ma quel sorriso di compiacimento durerà poco. La Siria è immersa in un lago di sangue e l’Esercito governativo che dopo due settimane di assedio sembrava sul punto di riprendere la cittadina strategica di Qusayr, nei pressi del confine con il Libano, ora avanza lentamente di fronte alla resistenza opposta dai ribelli, ai quali si sono uniti centinaia di miliziani della Brigata islamista “Tawhid”, proveniente da Aleppo.

Proprio ad Aleppo il movimento sciita libanese Hezbollah, alleato di Assad, già presente con un numero imprecisato di combattenti a Qusayr, starebbe concentrando migliaia di uomini intorno alla città in vista di un attacco congiunto con le forze governative, volto a riprendere il controllo delle aree cadute un anno fa nelle mani dei ribelli. Un comandante militare di Hezbollah ha confermato che circa 2.000 uomini sono in attesa del via libera per l’attacco. «La battaglia di Aleppo è ancora in forma ridotta. Siamo appena all’inizio dei giochi», ha detto l’ufficiale di Hezbollah al Washington Post. I combattenti sciiti si sarebbero schierati principalmente attorno alle cittadine sciite di Zahra e Nubol, sotto assedio da mesi delle forze ribelli sunnite ma di cui nessuno parla e scrive.

L’intervento armato di Hezbollah a sostegno di Damasco si sta rivelando di eccezionale importanza per Assad. I combattenti libanesi, addestrati da anni di guerriglia contro gli israeliani, laddove sono dispiegati riescono ad avere la meglio sulle unità ribelli, seppure con pesanti perdite (pare un centinaio di uomini sino a oggi). Un intervento che sta generando reazioni violente nel mondo islamico sunnita dove si segnala l’appello lanciato dal predicatore Yusef Qaradawi, vicino ai Fratelli Musulmani, per una guerra santa contro gli alawiti (la comunità di origine sciita alla quale appartiene Assad) – «più infedeli di cristiani ed ebrei», ha detto – e l’Iran sciita.  Le petromonarchie del Golfo, sponsor generoso dell’opposizione armata in Siria, da parte loro stanno valutando azioni punitive contro Hezbollah.

I ribelli siriani intanto portano la guerra in Libano, nella Bekaa roccaforte del movimento sciita. Nella notte tra sabato e domenica le “unità di frontiera” di Hezbollah hanno respinto un’incursione di jihadisti del Fronte al Nusra. Sono rimasti uccisi 14 ribelli siriani e un combattente sciita. Ieri a Sidone due religiosi vicini a Hezbollah sono sfuggiti ad altrettanti attentati mentre il bilancio degli scontri tra sunniti e alawiti scoppiati tra domenica e lunedì a Tripoli nel nord del Libano, è di sei morti.

Intanto al-Qaeda in Siria e in Iraq, rivela il quotidiano britannico Telegraph, ha aperto un vero e proprio ufficio “reclami” a Raqqa, nel nord est della Siria, per raccogliere lamentele e contestazioni circa l’amministrazione islamica della città. Uno sviluppo in apparente controtendenza con un rapporto all’esame della Nato che, sostiene il giornale online worldtribune.com, sottolinea che Assad sta recuperando il terreno perduto perchè la maggioranza della popolazione siriana dopo due anni di guerra civile preferirebbe lui ai ribelli considerati un corpo estraneo al Paese.