La fuga dalla Costa D’avorio con la propria bambina per salvarla dall’infibulazione. Il disperato viaggio per raggiungere la Tunisia. Il distacco per recuperare i pochi averi, il ritorno a Tunisi. La tragica scoperta che la figlia è scomparsa. L’incubo, il dolore immenso. Poi, improvvisamente una telefonata. Dall’Italia. La bimba è viva. Sta bene. L’attesa è snervante, quattro mesi di straziante burocrazia. Ci siamo. Il volo da Tunisi, scalo Palermo. Eccola, è lì. Bella, bellissima. L’abbraccio. I brividi, le lacrime. I battiti a mille. I sorrisi. E’ un miracolo. Anzi, il destino. O chissà.

Dal mare dei morti, dove giacciono migliaia di anime di migranti, la storia di Oumoh e Zanabou arriva dritto al cuore. Una sceneggiatura della vita, dove c’è tutto: innocenza, crudeltà, sopraffazione, paura, coraggio, disperazione, tristezza, fiducia, speranza. E amore. Tanto amore. Oumoh e Zanabou sono un simbolo, i volti – vivi, veri – di chi ce la fa, di chi non ce l’ha fatta perché gli è stato impedito – dal mare, dalla barbarie dell’uomo, dall’indifferenza – di chi da questa storia, forte e intensa, ne coglierà l’essenza. Per sé, per gli altri. Per combattere, lottare, resistere.

La storia comincia quattro mesi fa. Madre e figlia fuggono dalla Costa d’Avorio alla fine dell’anno scorso perché i familiari intendono sottoporre la bambina all’infibulazione, pratica tradizionalmente diffusa in quel paese. Raggiungono la Tunisia insieme ad un’amica della sorella maggiore di Zanabou, 31 anni. Dopo aver trovato una sistemazione provvisorio, la donna decide di tornare in Costa d’Avorio per prendere i suoi averi per trasferirsi definitivamente in Tunisia. Prima di partire affida Oumoh, 4 anni, all’amica. Ma nel suo paese Zanabou viene trattenuta per giorni dai familiari, vogliono che riporti la bimba a casa. Intanto, l’amica rimasta a Tunisi trova un posto in un barcone per raggiungere l’Italia. Non potendo abbandonare Oumoh, decide di portarla con sé. Durante la traversata nel Canale di Sicilia, il barcone naufraga: Oumoh riesce a sopravvivere. Soccorsa, sbarca con altri migranti a Lampedusa. Nel caos di quei giorni, l’amica si disinteressa di quella bimba, che viene accudita dagli operatori. Ma chi? Da dove proviene?

Dove sono i suoi genitori? Interrogativi senza risposta per giorni. La bimba viene trasferita in una comunità a Palermo. Ma all’improvviso a ridarle il nome e la speranza di poter riavere la sua mamma è un’altra bambina: si chiama Nassade, 8 anni del Mali, giunta a Lampedusa, insieme a sua madre e al fratellino di sole tre settimane con un altro gruppo di profughi. Mentre si trova nell’ufficio della direttrice del centro di Lampedusa, la piccola Nassade vede la foto della bimba senza nome: “Oumoh”, esclama. Lo stupore è immenso. Quando gli operatori chiedono alla madre di Nassade se conosce la bimba ritratta in foto, la donna non solo ricorda il nome della madre, che aveva conosciuto in un centro di raccolta in Tunisia, ma riferisce anche di avere il suo numero di telefono. Al quale ancora, incredibilmente, Zanabou risponde immediatamente. Quando l’interprete spiega alla donna ivoriana che la piccola Oumoh è viva e si trova a Palermo in una comunità per minori, la donna scoppia in un pianto a dirotto, raccontando la sua storia.

Ieri Oumoh ha riabbracciato la sua mamma: gonnellina in tulle bianco, un paio di collant e scarpette da tennis rosa, una leggera giacca a vento in colori pastello, cerchietto e nastro rosa tra i riccioli neri. Con gli abiti che gli operatori della comunità le hanno comprato, Oumoh non sapeva ancora dell’arrivo della madre, tornata in possesso del suo passaporto e con il visto concessole in 24 ore dalla Farnesina dopo una lunghissima attesa dei documenti da parte delle autorità della Costa d’Avorio. E’ atterrata a Punta Raisi con un volo proveniente da Tunisi. A festeggiare il ricongiungimento tra madre e figlia c’era anche l’ispettore Maria Volpe, della questura di Agrigento che sin dall’inizio ha seguito la piccola portandola da Lampedusa a Palermo e ha curato la vicenda del rilascio dei documenti a Zanabou. L’abbraccio in aeroporto è commovente. Si piange, si battono le mani. mamma e figlia vivranno insieme in comunità.