La guerra delle petroliere non spaventa più di tanto gli iraniani, che hanno memoria delle tante navi fatte esplodere negli anni Ottanta durante la guerra contro il dittatore iracheno Saddam Hussein. Pur essendo poca cosa rispetto ad allora, la presa in ostaggio della petroliera Stena Impero, di proprietà svedese e battente bandiera britannica, serve a smuovere le diplomazie: domenica si terrà a Vienna una riunione straordinaria della commissione congiunta dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015.

Alla riunione parteciperanno i vice-ministri e i direttori politici: discuteranno della situazione che si è venuta a creare dopo che l’Iran ha portato l’arricchimento dell’uranio al 3,67%. Una violazione dell’accordo, peraltro già mandato a monte dal presidente statunitense Trump, ma non porterà alla costruzione della bomba perché l’atomica richiede l’arricchimento del 90%.

Si muove la diplomazia internazionale. E, di pari passo, anche la diplomazia di Teheran dopo il colpo di scena dei pasdaran autori del dirottamento della petroliera britannica e – in questa guerra anche mediatica – di un video in cui accerchiano la Stena Impero con piccole imbarcazioni velocissime e, mascherati in volto, si calano sul ponte usando un elicottero.

Per i pasdaran è stata un’ovazione da parte dell’audience della Repubblica islamica. Ora alla diplomazia iraniana tocca stemperare i toni. E riguadagnare consenso. Operazione difficile perché, complici le sanzioni volute da Trump, la crisi economica si fa sentire sempre più, il rial si è svalutato, il prezzo degli immobili è andato alla stelle, il costo della vita è aumentato.

Per molti è colpa dei moderati, ovvero del presidente Rohani e del suo ministro degli Esteri Zarif: sottoscrivendo l’accordo avevano rinunciato alla sovranità nucleare senza avere nulla in cambio perché le nuove sanzioni di Trump avevano impedito la ripresa economica auspicata. Per questo sul fronte interno i pasdaran e la destra conservatrice stanno guadagnando sempre più punti.

Ieri, Rohani ha dichiarato che l’Iran non cerca un’escalation, né tanto meno la guerra. In visita di stato in Nicaragua, a proposito dell’ingresso di Boris Johnson al numero 10 di Downing Street, il ministro degli Esteri Zarif ha affermato che «l’Iran non cerca lo scontro con la Gran Bretagna nella disputa sulle petroliere sequestrate, Teheran ha agito nei confronti della petroliera britannica per garantire il rispetto del diritto internazionale e non come rappresaglia per il sequestro illegale della petroliera iraniana a Gibilterra a inizio luglio».

Se le autorità inglesi cercano alleati in questa disputa, lo stesso fa la leadership di Teheran e infatti, in visita nella capitale iraniana, il premier iracheno Adel Abdul Mahdi ha ribadito che Baghdad non farà parte di nessuno schema volto a imporre sanzioni contro l’Iran.

Sulla scena si sta muovendo anche il viceministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi, che si è recato a Parigi con un messaggio scritto del presidente Rohani per il suo omologo francese Macron. Di certo, Rohani cerca in Macron un mediatore nello scontro tra Teheran e Washington, con l’obiettivo di salvare l’accordo nucleare da cui avrebbero tratto vantaggio anche tante imprese francesi, soprattutto nel settore dell’energia e dell’automotive.

Ma il messaggio di Rohani a Macron potrebbe anche avere a che fare con Fariba Adelkhah, l’antropologa franco iraniana arrestata a giugno per ordine della magistratura di Teheran, e quindi per ordine dal falco Raisi.