Dopo lo sgombero sono arrivate le ruspe: così del Camping River, che per almeno tredici anni ha ospitato qualche centinaio di rom non è rimasto nulla. Nel pomeriggio di ieri, mentre gli operai del comune di Roma,sotto lo sguardo degli uomini delle forze dell’ordine, finivano di smantellare container e casette prefabbricate, l’accampamento degli ex abitanti del Camping davanti al cancello è stato dismesso. Ci sono stati momenti di tensione, un vigile ferito durante un tentativo notturno di rientro nel campo.

Ma alla fine molti rom sono andati via perché hanno avuto paura. Se fossero rimasti così platealmente a dormire per strada, seppure nella forma del presidio, i servizi sociali avrebbero potuto togliere loro i bambini. E allora in tanti si sono dispersi nella città, in cerca di un ricovero di fortuna in un posto meno vistoso.

Restano le polemiche di questi giorni. La sindaca Virginia Raggi, in serata, rilancia il suo modello, che definisce «terza via» perché coniugherebbe fermezza e diritti delle persone. L’unico campo romano a sorgere su un terreno privato era stato inserito con apposita delibera nel «Piano Rom» approntato ormai oltre un anno fa dalla sindaca e dalla sua superconsulente in materia, Monica Rossi. L’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone aveva bloccato l’ennesimo affidamento diretto e annullato il successivo bando per la rassegnazione dei servizi. Così, l’amministrazione comunale ha scelto di sperimentare gli strumenti individuati per smantellare i campi per la prima volta su Camping River.

Ecco il motivo di tanta ostinazione nel chiudere la vicenda, nonostante il sussidio per il rimpatrio e il sostegno all’affitto previa stipula di un contratto non hanno dato i risultati sperati. Ed ecco perché Raggi ha prima creato le condizioni per l’«emergenza sanitaria» dichiarata alla vigilia dello sgombero inviando le squadre del comune a demolire parte dei servizi e poi, incurante degli appelli che provenivano dalla società civile e dalla Caritas, ha incassato l’appoggio di Matteo Salvini per lo sgombero in violazione della moratoria imposta dalla Corte europea per i diritti umani.

Successivamente, una volta che la Corte di Strasburgo ha di fatto sospeso il procedimento per via della decadenza dell’oggetto del contendere, la sindaca ha sbandierato questa presa d’atto come approvazione del proprio operato. «Non è così – confermano dall’Associazione 21 Luglio, che ha fornito assistenza legale – Il procedimento prosegue se i ricorrenti perfezioneranno la loro denuncia e con ogni probabilità l’Italia incorrerà in sanzioni e penali per aver violato il giudizio della Corte».

Dopo Camping River, dovrebbe toccare ad altri due dei restanti sedici insediamenti formali in cui vivono poco più di 4 mila persone: Monachina, dove sono censite 115 persone, e La Barbuta, dove ci sono quasi 660 rom.

Nell’aula Giulio Cesare, in Campidoglio, si discute intanto l’assestamento di bilancio. La consigliera Cristina Grancio, eletta nel movimento 5 Stelle e poi espulsa perché critica sulla gestione della grande opera dello Stadio della Roma, ne approfitta per commentare lo sgombero di Camping River. «È stato un evento simbolico, con un significato politico molto preciso – dice Grancio – Questa città si sta paurosamente avvicinando alla destra della Lega».

Stefano Fassina oggi deputato di Leu ma eletto al Campidoglio con la lista Sinistra per Roma fa un bilancio della situazione: «Oggi ci sono decine e decine di persone, tra cui tanti bambini, in mezzo alla strada – afferma – La situazione igienico-sanitaria precaria cui la sindaca intendeva porre rimedio si è aggravata. E si sono aggravati i problemi sociali e di sicurezza».