«Si era entrati in un gioco che non prevedeva potersi tirare indietro: nessuno dei due attori principali poteva prendere una decisione diversa senza deludere il proprio ‘pubblico’». Per Andrea Greppi, docente italo-spagnolo di filosofia del diritto all’Università Carlos III di Madrid, ospite a Torino dell’annuale seminario della Scuola di buona politica, gli avvenimenti di ieri erano già scritti.

 

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Professore, lo scontro fra Madrid e Barcellona è dunque l’unica prospettiva?

Quel che accade è condizionato da rendite di breve termine: sia al governo del Pp che agli indipendentisti interessa l’escalation della tensione. Dal punto di vista centralista, la fine dell’Eta aveva fatto venir meno la figura del nemico interno, che per l’identità politica spagnolista era il punto di aggregazione più evidente: oggi ce n’è uno nuovo. Sul versante opposto, il sistema di potere autonomista del nazionalismo catalano era ormai pesantemente compromesso dall’emersione di una corruzione enorme: la risposta non è stata un ripiegamento del nazionalismo, come ci si sarebbe potuti aspettare, ma un innalzamento della posta verso l’indipendenza.

Era possibile un esito diverso dal muro contro muro?

Purtroppo pesa la chiusura ideologica del Pp nei confronti dell’unica soluzione possibile per la Spagna di oggi: un assetto federale. L’assenza di dialogo con le istanze che vengono dalla Catalogna è il risultato di una mancata pedagogia politica che rendesse l’opzione federale accettabile dalla grande maggioranza degli spagnoli. E oggi purtroppo la prospettiva federale è improponibile.

Perché?

L’opinione pubblica spagnola non è preparata ad accettare davvero una discussione sull’articolo 2 della Costituzione, quello che afferma «l’indissolubile unità della Nazione spagnola». Ma tutto passa da lì: finché si pensa che questo articolo sia incompatibile con un assetto federale del Paese non c’è uscita dalla crisi attuale.

Ci sono però anche molte voci federaliste a livello statale: il Psoe e Podemos, ad esempio.

Podemos ha una posizione confusa sulla crisi catalana, e i socialisti sono in realtà molto divisi al proprio interno: c’è anche chi si oppone in modo feroce al federalismo, in particolare un elettorato tradizionale e più anziano. Il Psoe è in trappola: dovrebbe fare la scommessa del federalismo, ma sa di non poterla fare davvero.

Ora siamo all’applicazione dell’articolo 155, appoggiato anche dal Psoe: cosa implicherà?

Bisogna dire chiaramente che è un articolo fatto male, troppo generico, non stabilisce limiti, giurisdizioni e garanzie intorno a questo intervento del governo centrale sulle comunità autonome. Ma il problema non è solo quella norma: dietro la tensione di questi giorni ci sono anche la riforma che ha attribuito alla Corte costituzionale il potere di sanzionare la mancata applicazione delle proprie sentenze, e alcuni articoli del codice penale che hanno dei tratti autoritari, come quelli che stabiliscono i delitti di ribellione e sedizione con pene spropositate. La minaccia di quindici anni di prigione per attività che sono in gran parte protette dal diritto alla libertà di espressione è molto grave.

Ha citato la Corte costituzionale: è un’istituzione che ha un ruolo notevole in tutta la vicenda.

Sì, a cominciare dalla sentenza sullo Statuto catalano del 2010. In quella circostanza avrebbe potuto decidere diversamente, in modo più lungimirante, invece fece prevalere una visione molto restrittiva del concetto di nazione. E poi va detto che la Corte stessa soffre da tempo di un problema di scarsa indipendenza reale dal potere politico, e quindi un problema di legittimazione.

Il rischio maggiore ora qual è?

Escludo scenari di tipo «balcanico», anche perché non tutti gli indipendentisti sono nazionalisti. Ci sono ovviamente pulsioni localiste e di chiusura identitaria, ma c’è anche chi sostiene il separatismo solo perché non crede più che lo stato centrale sia qualcosa di utile. È una spinta verso il governo di prossimità che va oltre il caso spagnolo, perché dipende dalla crisi degli stati, che nella globalizzazione hanno perso il potere di decidere sull’economia e sulla vita delle persone. Riguarda tutte le società benestanti, la Catalogna come il Veneto. La dichiarazione di indipendenza votata a Barcellona non avrà nessun effetto giuridico, ma la partita è appena cominciata ed è destinata a varcare i confini della penisola iberica.