Avveniva 32 anni fa al confine di Russia, Ucraina e Bielorussia la peggiore catastrofe nucleare di sempre. Nell’ aprile 1986, durante il turbolento interim gorbacioviano, quell’entroterra sovietico fu teatro di un’apocalisse sullo sfondo del tramonto dell’ Urss. Un disastro filologicamente ricostruito a dalla mini serie Sky/HBO titolata semplicemente Chernobyl, che debutta Su Sky Atlantic il prossimo 10 giugno in prima serata.
I cinque episodi iniziano pochi attimi dopo la fatale esplosione nel reattore numero 4 dell’impianto, avvenuta durante una simulazione di procedure d’emergenza, ripercorrono i tentativi di spegnere l’incendio divampato all’interno del nucleo del reattore, dapprima con normali pompe d’acqua, pateticamente inadeguate, poi con lanci di sabbia da elicotteri. Nei giorni che seguono, la magnitudine della catastrofe diventa evidente malgrado l’ostinazione ufficiale nel minimizzarla – un misto di inettitudine e colpevole omertà che si unisce alla calamità e la peggiora. Oltre alla contaminazione atmosferica che si estende sulle vicine città (ed è presto misurabile fino in Svezia) diventa evidente che il nucleo è instabile e rischia la fusione, l’inquinamento delle acque potabili di 100 milioni di persone e una possibile seconda esplosione che potrebbe causare l’inabitabilità di una gran parte dell’Eurasia.
A fronte dell’inefficienza ufficiale, la serie narra gli eroismi individuali che evitarono quello che sarebbe potuto essere un disastro planetario, dai tecnici ai volontari immersisi nelle acque radioattive per drenare certi bacini a rischio di esplosione, ai minatori che scavarono gallerie a mano sotto le macerie radioattive per raffreddare il suolo. La cronaca dell’evento diventa così anche quella di un crepuscolo industriale, che coincide con la fine di un secolo e di un ideale politico ed è allo stesso tempo iterazione della tragedia russa. Una sorta di horror storico in cui l’esplosione del reattore è l’ultimo bagliore del regime sovietico, definitiva sconfitta e al contempo redenzione di un popolo eroico. Ancor più commovente se possibile, ora che all’ottusità di regime in quei paesi si è sostituita la rapacità degli oligarchi. Il programma attinge all’elegia tragica di Preghiera per Cernobyl la cronistoria delle vittime compilata da Svetlana Aleksievic e allo stesso tempo alle foto spettrali di Gerd Ludwig della zona di esclusione di Pryapat, la città operaia evacuata accanto alla centrale. Il senso apocalittico di un disastro, prevenibile ma inevitabile, pervade Chernobyl con la stessa angoscia di un episodio di Walking Dead (non a caso forse il regista, lo svedese John Renck, ha diretto anche un episodio di quella serie zombie). Ma qui sgomento e senso di impotenza sono verità storica. «La storia di come è avvenuto il disastro è incredibile», sostiene Craig Mazin, show runner della mini serie, con un curriculum improbabile (commedie demenziali come Scary Movie e Identity Thief). «Le modalità del disastro sono scioccanti. Ma tutto ciò che è avvenuto dopo l’esplosione, il sacrificio della gente, è una storia straziante e commovente». Mazin sottolinea di essere stato motivato principalmente dalla volontà di onorare la memoria degli uomini e delle donne che affrontarono a mani nude e consapevolmente un disastro senza precedenti, evitando che fosse molto peggio ancora.
La sua serie, girata in Lituania, compresa la centrale nucleare di Ignalina, impianto gemello di Chernobyl, restituisce il senso straziante di immane sacrificio della cittadinanza sovietica disposta a perdere la vita per il bene collettivo e per uno stato che di lì a poco sarebbe scomparso. Come dice nel secondo episodio Boris Scherbina, (il vice primo ministro del consiglio interpretato da Stellan Skarsgard) in un arringa ai soccorritori: «Noi Russi abbiamo mille anni di tragedie nelle nostre vene – ogni generazione deve conoscere la propria sofferenza – è quello che ci rende diversi».
Accanto a Skarsgard recitano Jared Harris ed Emily Watson, il cui ruolo è l’unico di finzione e un po’ un composito di scienziati che allora lavorarono per contenere la crisi. La abbiamo incontrata a Los Angeles.
Cosa ricorda di quella tragedia e dove si trovava quando venne diffusa la notizia?
Ero una studentessa all’università di Bristol e anche se allora era molto diverso il mondo dei media, ricordo la percezione di una cortina fumogena nell’Unione Sovietica in quel periodo di guerra fredda. E c’erano nostri compagni che all’epoca stavano studiando a Kiev e quindi un senso autentico di preoccupazione. Poi seguirono i divieti di consumare determinati alimenti e a quel punto capimmo che eravamo tutti direttamente coinvolti.
E dopo aver lavorato alla serie che opinione ha maturato su quel disastro?
Direi che prima lo avevo sempre considerato come un fatto storico compiuto e invece ora capisco che non è così, che quel luogo non sarà sicuro per 25 mila anni ancora e che il «sarcofago» costruito per contenere il reattore danneggiato sarà utile solo per altri 100 anni. Ora l’Ucraina ha un comico per presidente e prego solo che si tratti di una persona responsabile. Ci sono ancora oggi famiglie che convivono con malattie terribili.
L’autenticità è un dato importante della serie…
Ci hanno fornito montagne di materiali di ricerca, moltissimi libri affascinanti su quell’evento. In particolare Preghiera per Chernobyl che è un vero trattato spirituale ed il testo più utile per trovare il cuore emotivo della nostra storia. L’autrice (Svetlana Aleksievic, ndr.) è straordinaria e ha un incredibile spirito intuitivo. E poi personalmente ho cercato di documentarmi soprattutto sulla storia della Bielorussia, la tragedia dei conflitti in quella regione.
Ha scoperto qualcosa in particolare?
Mi ha sconvolto la rivelazione che eravamo a un soffio da una tragedia infinitamente peggiore. E di come l’eroismo della gente abbia prevenuto una catastrofe che poteva essere su scala planetaria. E poi il dato forse più rilevante: cioè di come ad ogni passo l’offuscamento ufficiale della verità abbia intralciato le operazione e peggiorato le cose. Il reattore aveva un difetto di progettazione, lo sapevano e ne hanno fatto un segreto di stato. I tecnici responsabili della sicurezza non erano al corrente, ma per i politici era più importante proteggere la reputazione del regime che tutelare il pianeta. È incredibile come l’umanità possa rivelarsi così cinica e capace di una cosa simile. Lo stiamo nuovamente dimostrando in questi giorni, nel modo in cui i nostri leader preferiscono nascondere la testa nella sabbia piuttosto che affrontare la catastrofe ambientale. Anche ora che abbiamo la data cerca che il 2030 sarà il punto di non ritorno. Ha ragione Greta Thurnberg quando dice che è inutile aspettare i politici. Ognuno deve agire politicamente – come in un opera del duomo: si inizia anche se non sappiamo quando e come verrà completato il soffitto. Nel mio paese ormai si dice comunemente «ne abbiamo abbastanza degli esperti». Una frase assurda, che non ammette risposta, dopodiché tutto è possibile, la luna è fatta di formaggio, la terra è piatta…ed ho detto tutto.
Insomma, Chernobyl è una lezione ancora incredibilmente attuale?
Assolutamente. Credo sia molto facile rimuovere, considerarlo un fatto storico relegato al passato. Credo invece costituisca una parabola assai utile per il nostro tempo. È facile compiacersi e giudicare la corruzione sovietica ma nella classifica della corruzione finanziaria ad esempio sapete qual è la città più corrotta? Londra. Per via della montagna di denaro che vi viene riciclato, tutto perfettamente «legale». Esiste ormai una classe di super benestanti al di sopra di ogni legge.