Le morti assurde nel carcere di Modena, le evasioni, le devastazioni in giro per gli istituti lasceranno un segno tragico nella storia penitenziaria italiana e comunque determineranno un ulteriore peggioramento della vita dentro le prigioni. Molte sezioni carcerarie messe a ferro e fuoco dalle proteste sono da ieri inutilizzabili e i detenuti saranno trasferiti in luoghi lontani ed evidentemente più affollati rispetto a prima. Forte è il rischio che si torni indietro a un passato di ozio forzato in celle strapiene. Questa è dunque la premessa: stop alla violenza sulle cose e sulle persone.

Ci rivolgiamo, però, anche a tutta la comunità penitenziaria perché non lasci soli chi è già solo e disperato. In un frangente storico nel quale tutta l’Italia è nel panico a causa di un virus infingardo, l’imposizione di restrizioni ai rapporti tra i detenuti con il mondo esterno (volontari, familiari, associazioni) decisa dall’amministrazione penitenziaria per motivi di salute pubblica ha determinato quanto abbiamo sentito e visto in giro nell’Italia delle galere.

Va immediatamente fermato il circolo vizioso della violenza che ha colpito le carceri italiane. Ci appelliamo a tutta la popolazione detenuta perché non partecipi ad alcuna forma di protesta violenta. La violenza non è mai giustificabile.

Avevamo pochi giorni addietro indirizzato una richiesta alle autorità governative italiane affinché compensassero i colloqui visivi negati ai detenuti con i loro cari assicurando loro una telefonata al giorno. L’ansia che sta colpendo gli italiani liberi, inevitabilmente avrebbe colpito, nelle forme più esasperate, anche i detenuti, una parte dei quali, va ricordato per chi non lo sapesse o fingesse di non saperlo, non è costituito da persone in doppio petto o capi mafia, bensì da giovani o meno giovani con problemi di dipendenza determinata dall’uso di sostanze psicotrope oppure in stato di grave sofferenza psichica.

Il virus non deve entrare nelle galere. Ogni misura sanitaria a tutela dei detenuti deve essere spiegata. I direttori, gli agenti, gli educatori, i cappellani, i medici devono andare nelle sezioni e con pazienza dialogare con i detenuti illustrando le misure che si stanno prendendo eccezionalmente in tutto il Paese e non solo negli istituti penitenziari. Va recuperato un rapporto di fiducia senza il quale nessuna comunità, di persone libere o prigioniere, funziona. A ogni detenuto va assicurata una telefonata al giorno per poter dire ai propri cari ‘sto bene’ e per poter sentire dalla loro voce che anch’essi stanno bene. Non vi sono ostacoli tecnici alla realizzazione di tale proposta. Basta passare dai reparti con un telefono e consentire le chiamate ai numeri già in passato autorizzati. Meglio ancora se si usi whatsapp in modo che i detenuti possano vedere in faccia i loro cari. Il decreto legge dell’8 marzo in tema di coronavirus consente questa modalità di comunicazione, nonché deroghe al regime oggi vigente in materia di telefonate che prevede un massimo di dieci minuti a settimana.

Inoltre, sempre a legislazione vigente, vanno protette tutte le persone detenute vulnerabili. Gli ultrasettantenni, i malati cardiopatici, coloro che sono affetti da diabete, gli immunodepressi devono poter continuare a scontare la pena in detenzione domiciliare. Bisogna evitare che restino in un luogo potenzialmente patogeno. Tutto ciò può essere deciso dalla magistratura di sorveglianza a legislazione vigente.

Inoltre, dal direttore del carcere e dai suoi collaboratori, possono arrivare proposte per la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale in forma straordinaria a tutti coloro che sono nelle condizioni normative per accedervi. Ci appelliamo alla magistratura di sorveglianza perché non si tiri indietro. Non è il momento.

Ovviamente, decisivo è il ruolo dello staff penitenziario. Vanno assunti educatori, mediatori, medici, infermieri per affrontare questa fase drammatica.

Dalle ceneri di queste giornate tragiche di morte e violenza ci opporremo a ogni ipotesi di ritorno a un passato fatto di sole sbarre, ozio e chiusura. Sarebbe l’esito ingiusto di giornate tragiche.