Nel fine settimana il regime egiziano ha inaspettatamente liberato sei prigionieri politici di spicco. Si tratta dell’avvocatessa per i diriti umani Mahienour el-Massry, dei giornalisti Mostafa al-Asar, Moataz Wadnan, Esraa Abdel Fattah, Gamal al-Gammal, e del dirigente del partito Alleanza popolare socialista Abdel Nasser Ismail, tutti sottoposti a detenzione preventiva da quasi due anni in attesa di processo.

Le notizie hanno rimbalzato per ore, poi finalmente la conferma, mentre sui social network una dopo l’altra iniziavano a circolare le foto degli attivisti rilasciati, i volti stremati e pallidi, ma finalmente sorridenti, tra l’abbraccio dei propri cari e le telefonate degli amici che li chiamavano per congratularsi.

QUASI TUTTI ERANO FINITI DIETRO le sbarre nell’autunno del 2019, nell’ambito della più vasta campagna di arresti messa in atto dal regime di Abdel Fattah al-Sisi, in seguito alle rare proteste di piazza che a settembre avevano attraversato diverse città del paese. Pur essendo state in gran parte manifestazioni spontanee, il governo aveva immediatamente stretto la morsa intorno ai pochi militanti ancora a piede libero, per evitare che il malcontento sociale potesse saldarsi a una leadership politica.

Mahienour el-Massry, l’instancabile militante vicina ai movimenti dei lavoratori egiziani, era stata arrestata davanti alla procura della Sicurezza di stato, proprio mentre tentava di fornire assistenza legale ad alcune delle migliaia di persone arrestate in quei giorni. Esraa Abdel Fattah, co-fondatrice del movimento 6 Aprile e figura di spicco della rivolta popolare del 2011, era stata prelevata dalla propria auto e condotta in una località sconosciuta, per poi essere sottoposta a pestaggi e torture prima di finire in carcere. Insieme a Mahienour, pochi mesi fa aveva denunciato in tribunale i maltrattamenti disumani a cui erano sottoposte loro e le altre detenute nel carcere di Qanater, tra cui la privazione degli oggetti personali, delle coperte, dei materassi e la negazione delle visite da parte dei parenti.

IL CONTINUO RINVIO della carcerazione preventiva, attraverso udienze farsa prima ogni 15 giorni poi ogni 45 giorni, è una pratica comune della magistratura egiziana nei confronti di attivisti e giornalisti, che intrappola i detenuti in un limbo senza fine, anche se la legge prevede che i rinnovi possano estendersi fino a un massimo di due anni. Proprio per contestare il prolungamento arbitrario della sua detenzione, in violazione persino delle draconiane leggi egiziane, il 10 luglio il militante e giornalista socialista Hesham Fouad ha dichiarato l’inizio dello sciopero della fame in carcere, chiedendo ai solidali in tutto il mondo di sostenere la sua lotta. Il suo gesto di protesta va ad aggiungersi a quello dello studente universitario Ahmed Samir Santawy, arrestato a dicembre al suo rientro da Vienna, ed entrato in sciopero della fame oltre tre settimane fa dopo l’assurda condanna a quattro anni per aver «pubblicato notizie false», similmente a quanto accaduto a Patrick George Zaki, studente all’università di Bologna.

Alla protesta dei detenuti si sono unite numerose figure di spicco della società civile egiziana, che hanno proclamato scioperi della fame in segno di solidarietà con tutti i detenuti. Tra questi il giornalista Karem Yehia, che per due giorni ha presidiato la sede del sindacato dei giornalisti chiedendo il rilascio di tutti i colleghi in carcere (27, secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti).

NEGLI ULTIMI GIORNI la grave situazione dei diritti umani in Egitto è finita nell’occhio del ciclone grazie anche alla condanna espressa dal portavoce del dipartimento di Stato Usa Ned Price, in seguito al rinvio a giudizio di Hossam Bahgat, direttore dell’Egyptian initiative for personal rights (Eipr), rinviato a giudizio per accuse legate all’uso dei social media. «Gli Stati uniti sono preoccupati dalle continue detenzioni, condanne e persecuzioni nei confronti di leader della società civile, accademici e giornalisti egiziani», ha dichiarato Price.

Le recenti scarcerazioni sembrano un segnale positivo, ma il quadro generale resta drammatico. Domenica c’è stato un altro arresto eccellente: l’ex direttore del quotidiano governativo Al Ahram, Abdel Nasser Salama, è finito in manette dopo aver scritto un articolo in cui chiedeva le dimissioni di al-Sisi. La scorsa settimana un detenuto è morto nel carcere di Tora, dopo che per 5 ore i compagni di cella avevano invocato invano soccorsi.

SOLO NELL’ULTIMO MESE un nuovo processo è appena cominciato contro sei attivisti laici, colpevoli di aver tentato la costruzione di una coalizione elettorale democratica, mentre 10 leader della Fratellanza muslmana sono stati condannati all’ergastolo e altri 12 stanno per essere consegnati al boia.