In vista del conclave dem nell’abbazia di San Pastore nel Retino, Nicola Zingaretti rilancia, in un colloquio con Massimo Giannini su Repubblica, l’idea di un partito nuovo, aperto, che potrebbe anche cambiare nome. Dopo la vittoria di Bonaccini in Emilia-Romagna, prevede ottimisticamente il segretario che più che altro gioca d’anticipo rispetto a una tutt’altro che impossibile sconfitta, «cambio tutto: sciolgo il Pd e lancio il nuovo partito», si spinge in avanti. O meglio, corregge, il «partito nuovo», che passerà attraverso il congresso (già deciso all’ultima direzione) «con una proposta politica e organizzativa di radicale innovazione e apertura alla società e ai movimenti», dagli ambientalisti alle sardine. A Milano, dove partecipa a un’iniziativa del Pd, aggiunge: «Non credo in processi distruttivi o in passi indietro o rinunciatari ma al ritornare al Dna del Pd». Cambiare nome? «Lo decideremo. Non credo che si debba partire né dai nomi né dalle formule organizzative».

Insomma, lo scioglimento del Pd è una delle opzioni lanciate «per vedere l’effetto che fa», spiegano al Nazareno. Tanto che il vicesegretario Andrea Orlando sottolinea: «Non credo ci sia niente di particolarmente nuovo rispetto a quello che abbiamo detto nel corso di questi mesi». Mentre Matteo Orfini incalza: «Poco più di un anno fa proposi di sciogliere e rifondare il Pd. E ottenni un risultato unico: unire tutti contro questa ipotesi. Oggi Zingaretti propone di sciogliere e rifondare il Pd dopo le regionali. Bene, ma perché non sia solo fuffa c’è bisogno di chiarezza». Se Lorenzo Guerini e Base riformista si attestano sul «bene il congresso, ne avevamo evidenziato la necessità», il capogruppo al Senato, il renziano-dem Marcucci, teme «operazioni nostalgia» e chiede «una consultazione vera: di idee, di proposte ma anche di persone». Mentre ex dem come Federico Fornaro, di Leu, apprezzano che Zingaretti indichi «la strada giusta, quella dell’unità e di una nuova sinistra alternativa alla cultura della destra sovranista».