Su questa sponda del Pacifico le reazioni alla fluttuazione della valuta cinese sono variate dal panico alla preoccupazione – «paura e delirio», avrebbe forse scritto Hunter S. Thompson – per le notizie che emanano dal grande rivale e che introducono una nuova inquietante variabile in un quadro economico globale in cui gli Usa si sono recentemente potuti permettere un fragile ottimismo.

Dopo molti trimestri di lieve ma stabile tendenza al rialzo dell’occupazione il consenso degli analisti anticipava, dopo ormai ben 9 anni, lo sblocco dei tassi di interesse da parte della Fed. La svalutazione cinese che i più allarmisti hanno definito «opzione nucleare» potrebbe ora rinviare la prossima fase di ripresa. La preoccupazione è che la mossa di Pechino riveli che «sotto il cofano» della locomotiva le cose siano messe male. Al di là delle specifiche valutazioni economiche gli eventi hanno scatenato una parallela bufera politica che sullo sfondo di una rivalità sempre più marcata e globale fra le due potenze economiche.

Jim Cramer, analista della Cnbc famigerato per la sponsorizzazione di speculazioni sui junk bond nei mesi precedenti allo scoppio della bolla immobiliare, non ha esitato a parlare di «guerra commerciale». Con consueto catastrofismo Cramer ha definito il tentativo cinese di stabilizzare la propria economia «disperato e irresponsabile». Cramer tralascia il fatto che lo stesso mi avesse definito sopravvalutata la divisa cinese, o il fatto che Europa e Giappone avessero già svalutato le proprie monete.

Apocalittici – e del tutto caratteristici – i commenti di Donald Trump il populista televisivo, front runner repubblicano che dal suo pulpito di bancarottiere ha inveito a favore di telecamera: «Ci vogliono succhiare il sangue dalle vene». Trump e diversi altri giocano sulla ulteriore perdita di competitività che potrebbe introdurre la svalutazione dello yuan. Di certo qualunque diminuzione nel potere di acquisto cinese non potrà far piacere ad operatori americani di settori specializzati – la Apple, ad esempio o gli studios di Hollywood per cui l’emergente mercato cinese rappresenta un nuovo Eldorado.

La nuova incertezza non può dunque che generare prevedibile ansia. La svalutazione arriva infatti sullo sfondo del recente viaggio di Obama in Africa, una (tardiva) controffensiva commerciale americana contro Pechino. Inoltre al rientro autunnale del congress sarà all’ordine del giorno la ratifica del trattato di commercio del Pacifico (TPP), un patto con le nazioni asiatiche che mira esplicitamente a contenere l’ascesa dell’influenza commerciale cinese. Si preannuncia insomma assai interessante la visita di stato che il presidente cinese Xi Jinping compirà a Washington a settembre.