Sembrava una giornata tranquilla, rassicurante, senza particolari colpi di teatro. Anzi, gli esponenti del governo Lega-M5S, usciti vincitori dal braccio di ferro con il ministro Tria, cominciavano già a cantare vittoria dopo aver incassato le performance positive della Borsa di Milano e l’andamento pacato dello spread.

Poi, visto che il diavolo si nasconde nei dettagli, gli operatori finanziari hanno notato un dettaglio non da poco: il ministro Tria, dopo aver tentato con poca credibilità di rassicurare l’Europa e i mercati, è rientrato a casa in anticipo, senza partecipare all’Ecofin di oggi e il suo repentino rientro è stato accompagnato dalle dichiarazioni del commissario europeo Moscovici che senza pensarci due volte e senza aver letto la nota di Economia e Finanza ha dichiarato alla stampa di tutto il mondo che il deficit del 2,4% è insostenibile. Una premessa alla bocciatura che scatenerebbe la speculazione. A quel punto le casematte della finanza hanno dato ordine ai loro broker di schiacciare il pulsante Sell e di scaricare dunque sul mercato tonnellate di Btp con il risultato immediato di riaccendere la miccia dello spread e di fiaccare la timida ripresa dei listini azionari.

Nel giro di poche ore lo spread tra Btp e Bund ha registrato un forte rialzo, a 282 punti base dai 267 della chiusura di venerdì. Il rendimento del titolo decennale italiano è salito a 3,29%. Piazza Affari, al termine di una seduta che aveva visto il Ftse Mib tentare il rimbalzo e guadagnare oltre 1% in mattinata è ripiombata in territorio negativo, trascinando con sé i principali istituti bancari che come è noto sono stracolmi di Btp. A Milano il Ftse Mib ha così ceduto lo 0,49% mentre fra le altre principali piazze finanziarie, Parigi ha guadagnato lo 0,24% e Francoforte lo 0,75%. Fra i titoli, male le banche e Telecom Italia, scesa di oltre il 5% sotto soglia 50 centesimi. In chiusura il differenziale con il bund tedesco quotava a 283 punti con il rendimento fissato al 3,3%. Sul fronte dei cambi l’euro ha chiuso a 1,1582 sul dollaro mentre il prezzo del petrolio a 83,31 il Brent dicembre e a 73,73 il Wti novembre. Sull’indice principale della piazza milanese hanno sofferto i bancari, con Banco Bpm (-5,75%), Ubi Banca (-4,57%), Bper (-3,94%), Intesa Sanpaolo (-3,91%) e Unicredit (-2,35%). Ora tutto torna in alto mare. Ma il vero pericolo dicono tutti gli operatori è la minaccia del rating. A fine mese sia Moody’s sia Standard & Poor’s daranno il loro voto sulla sostenibilità del nostro debito e le probabilità di una bocciatura sono altissime. Moody’s, che a maggio ha rivisto in negativo le prospettive (outlook) sull’Italia, potrebbe tagliare il rating, attualmente a Baa2, portandolo a Baa3. A un passo dal livello junk (spazzatura) con cui vengono classificati i titoli speculativi. S&P, che a ottobre 2017 aveva promosso l’Italia portando il rating a BBB, potrebbe decidere di rivedere l’outlook da stabile a negativo.

Bank of America – Merrill Lynch mette in guardia dai pericoli legati alla manovra a cui sta lavorando il governo, paventando il rischio che l’aumento del debito italiano e l’allargamento degli spread sui Btp possa minare la capacità delle banche di finanziare l’economia reale. «Quale crescita del Pil ci sarà in caso di credit crunch?», si domanda, in un report, la banca Usa. «Il (probabile) aumento del debito rispetto al Pil potrebbe condurre ad azioni avverse da parte delle agenzie di rating così giustificando gli ampi spread italiani». Ne scaturirebbe non solo «un più alto costo» del debito ma anche «meno credito all’economia». «Questo compenserebbe (in parte, se non del tutto) la crescita attesa del Pil nella manovra», rileva l’analista Alberto Cordara. «Un modo per preservare capitale» da parte delle banche «è ridurre l’esposizione agli asset più rischiosi» ad esempio «rimpiazzando i prestiti alle pmi con più titoli sovrani». Gli effetti del “caro-spread” si vedono già nella gelata delle emissioni di bond bancari, quasi azzerate da fine di maggio.