«Siamo una testuggine come governo, mi fa piacere che la Lega non voglia il condono: questo li rende degli amici ritrovati e ripartiamo» ha detto ieri Luigi Di Maio prima del prevertice con Conte e Salvini. E l’imperativo della testuggine si è fatto valere nel consiglio dei ministri: la Lega ha tenuto il condono a 100 mila euro (ne aveva chiesto uno a 500 mila), i Cinque Stelle hanno alzato la bandiera dell’onestà.

Queste le misure: la dichiarazione integrativa varrà solo su base annua, sui 100mila euro di imponibile. Non per singola imposta. Non sarà permesso di cumulare lo sconto che aveva destato lo scandalo di Di Maio a Porta a porta. Per sminare il campo approntato dalla misteriosa «manina» retromarcia sulla protezione dai reati di riciclaggio e autoriciclaggio, quelli tributari. Esclusa l’integrazione della dichiarazione per i redditi prodotti all’estero e del quadro «Rw» per il monitoraggio dei patrimoni detenuti oltreconfine. Dal governo dicono di volere aiutare chi ha dichiarato, e non pagato, le imposte per difficoltà economiche. Sempre che 100 mila sia una soglia appropriata per questo profilo sociale. È probabile, invece, che si parli di soggetti ben più patrimonializzata che non evadono «per necessità».

Il «saldo e stralcio» delle cartelle Equitalia, presente nel «contratto di governo», non ha trovato spazio nel tormentato decreto. Lo si troverà, hanno assicurato i dioscuri Salvini e Di Maio, insieme a Conte, in parlamento, al momento della conversione in legge. I tre giorni più pazzi del governo populista sono finiti con uno scambio: M5S ha concesso alla Lega di ritirare gli emendamenti non condivisi al decreto sicurezza, di non chiedere modifiche sulla «legittima difesa» e altre misure per blindare i confini contro l’immigrazione. Salvini ieri era soddisfatto.