L’annuncio ieri delle Forze armate della Repubblica democratica del Congo (Fardc) di aver ucciso uno dei capi della principale guerriglia attiva nella provincia orientale del Nord Kivu, vorrebbe innanzitutto calmare gli animi della popolazione civile, esasperata dai sempre più frequenti attacchi dei “ribelli ugandesi” delle Allied Democratic Forces (Adf), da una ventina d’anni una delle presenze armate più ingombranti e sanguinarie in questa regione dell’Africa centrale.

Mouhamed Mukubwa Islam – riferisce a al Jazeera il generale Léon Richard Kasonga – è stato ucciso venerdì in un’operazione militare condotta nella foresta di Mapobu. Nelle cui vicinanze si trova il villaggio di Kukutama, dove poche ore prima i suoi uomini avrebbero ucciso 13 persone. E a poca distanza dalla città di Oisha, teatro nei giorni precedenti di una mattanza al termine della quale sono stati rinvenuti i corpi brutalmente mutilati di 28 persone.

Il terrore sarebbe la strategia adottata dai “ribelli” dell’Adf, sostiene il governo centrale di Kinshasa, per portare la popolazione all’esasperazione di fronte all’incapacità delle forze governative di garantire un minimo di sicurezza. Ma di tanto in tanto la rabbia della gente si estende alla missione di pace delle Nazioni unite operante nel paese, anche in questo caso da una ventina d’anni. È la più corposa e costosa missione internazionale dell’Onu, la Monusco, con un personale di oltre 20 mila unità composto per tre quarti da un contingente militare, 15 mila caschi blu che stanno lì a far cosa? Si spera a pacificare, a dividere i litiganti o almeno tenere lontane le vittime dai carnefici, quindi a difendere la popolazione civile. In teoria.

Dal momento che nell’ultimo mese sono stati almeno un centinaio i civili uccisi, la forte sensazione che le Nazioni unite se ne stiano lì a guardare, che il ruolo della Monusco sia eccessivamente passivo, è cresciuta fino a trasformarsi in rabbia. Con proteste anche violente come quelle iniziate lunedì scorso di fronte al compound dell’Onu a Beni, proseguite con un tentativo di assalto e saccheggio dei locali della base, degenerate infine con l’intervento delle forze di sicurezza congolesi, che non hanno esitato a sparare sui manifestanti uccidendone nove.

 

25 novembre, i caschi blu cercano di arginare la folla inferocita davanti al compound Onu di Beni (Afp)

 

Che la situazione nel Nord Kivu abbia preso una brutta piega lo conferma anche l’arrivo ieri a Beni del segretario aggiunto delle Nazioni unite Jean-Pierre Lacroix. Che ha raggiunto la sempre turbolenta provincia orientale congolese con l’obiettivo di dare conforto al personale Onu che lavora in città e coordinare l’annunciato contributo della “missione di pace” Monusco all’ulteriore offensiva – secondo uno schema ben collaudato – che lo Stato maggiore dell’esercito ha in programma a partire da domani, lunedì 2 dicembre. Anche qui si tratta di recuperare consensi, la pace può attendere.

Alle stragi ricorrenti di civili inermi seguono offensive sempre più convinte dell’esercito. O viceversa. Ma che siano i miliziani a intensificare gli attacchi per ricattare il governo centrale o le forze armate a scatenarsi di tanto in tanto per meglio «proteggere i civili», assecondando sollecitazioni esterne come quelle giunte negli ultimi giorni dall’Unione europea, è da sempre e comunque la popolazione a farne le spese.

 

Oicha, 29 novembre, ai funerali delle vittime dell’ultima strage di civili (Afp)