Il volto di Claudio Ranieri, novello Giulio Cesare, con sotto la fatidica frase “veni, vidi, vici”. I giocatori e il loro manager ritratti con maestria caravaggesca. E ancora il calcio come collante di una città dove convivono tante razze e religioni diverse. Ma soprattutto una giusta celebrazione del “dodicesimo uomo”, la pacifica ed entusiasta Blue Army nella quale si sono arruolati migliaia e migliaia di tifosi. Una delle più incredibili imprese sportive degli ultimi decenni, il titolo della Premier League inglese vinto nel 2015-16, vive sui muri di Leicester, città delle Midlands Orientali e famosa fino a tre anni fa principalmente perché nei suoi paraggi perì in battaglia il controverso Riccardo Terzo. I resti dell’ultimo re della dinastia dei Plantageneti sono stati ritrovati in un parcheggio nel 2012 e poi reinterrati nella cattedrale tre anni dopo. Pochi mesi prima che iniziasse la “stagione perfetta” delle Foxes (le volpi, il soprannome del club), del quale i murales che punteggiano Leicester sembra vogliano prolungare ad oltranza l’incontestabile epicità.

A quasi due anni dal “miracolo”, da queste parti hanno metabolizzato la pazza euforia del maggio 2016. Forse perché gli inglesi sono maestri nel gestire il post-sbornia, forse perché il senso pratico e il realismo sono ben radicati nel dna delle persone, Leicester si è scrollata di dosso il chiassoso e un po’ ipocrita circo mediatico che ha fatto da contorno al trionfo di Ranieri e compagni ed è passata oltre. Chiacchierando con i tifosi in un freddo e piovoso sabato invernale si percepisce che in pochi si illudevano che le Foxes potessero veramente entrare stabilmente nell’élite del calcio inglese e competere ogni anno con le due di Manchester, le super-potenze londinesi e il Liverpool. Qui si sono goduti alla grande ogni singolo istante, anche della travagliata stagione scorsa, quella della storica partecipazione alla Champions League ma pure di un campionato mediocre, con corollario dell’allontanamento dell’“imperatore” Ranieri.

Imperatore” che qui amano in maniera incondizionata, nonostante sia stato detronizzato. Le bancarelle fuori allo stadio vendono ancora le spillette con il faccione sorridente dell’allenatore testaccino e quando sul maxi-schermo dell’arena prima della partita scorrono le immagini proprio di Ranieri che solleva la coppa della Premier è un florilegio di applausi e occhi lucidi.

Difficilissimo che quel trionfo si possa ripetere a breve. Certo, il club è solido, la proprietà thailandese non lesina investimenti e il sistema Premier, con una più equa divisione dei ricchissimi proventi dei diritti televisivi, assicura almeno una parvenza di equilibrio. Parvenza, perché riuscire a stare al passo del Manchester City con alle spalle il fondo sovrano degli Emirati Arabi, il Manchester United miliardario brand globale o il Chelsea dei petro-rubli di Roman Abramovich è ben altro discorso. Così, in un calcio sempre più polarizzato e nonostante il Leicester nel 2016-17 si sia piazzato 15esimo nella classifica dei team con i ricavi più alti d’Europa con incassi oltre i 260 milioni di euro, è stato costretto a cedere qualche pezzo pregiato della squadra del 2015-16 (Kantè, Drinkwater), e chissà quanto potrà resistere alle sontuose offerte delle grandi inglesi ed europee per gente del calibro di Mahrez e Vardy.

Già Jamier Vardy, l’ex operaio diventato professionista molto tardi, incarna alla perfezione lo spirito dell’underdog, che è pure il titolo di una amatissima canzone dei Kasabian. Piccolo excursus musicale: i Kasabian stanno al Leicester City come gli Oasis al Manchester City – e non a caso i brani della band locale sono un must per l’intrattenimento pre-partita. Tornando a Vardy, lui non si smentisce mai. Anche durante il match contro il Watford che seguiamo dal vivo si batte come un leone, ricevendo il giusto tributo di lodi dai supporter locali, dei quali è l’idolo assoluto.

È senza dubbio il degno erede di Gary Lineker, grande bomber degli anni Ottanta e Novanta, ora commentatore televisivo dello storico programma della BBC Match of the Day. Quello che fece la promessa – poi mantenuta – di rimanere in boxer qualora le Foxes avessero vinto il campionato e che al suo arrivo bollò Ranieri come un mediocre. A Lineker, enfant du pays, è dedicata una delle strade prospicienti allo stadio, dove prima c’era il vecchio impianto. Il glorioso Filbert Street, 111 anni di onorata carriera e una tribuna iconica del calcio inglese ante Premier, la South Stand, denominata Double Decker per la sua forma molto simile a un tipico bus londinese, fu buttato giù nel 2003 per far spazio a una speculazione edilizia poco riuscita. Ora al suo posto c’è solo un ostello studentesco e un enorme spiazzo pieno di erbacce, che però torna utile come parcheggio per le partite. Sì, perché uno dei punti di forza della nuova arena, nonostante pecchi di personalità e somigli fin troppo ad altre spuntate in giro per l’Inghilterra negli ultimi decenni, è che si trova a pochi passi dal centro della città proprio come il defunto Filbert Street. Quindi i luoghi del pre-partita sono gli stessi di prima. Un fattore di fondamentale importanza per un Paese dove la match-day experience (pinta di birra al pub con gli amici e tortino salato o hamburger allo stadio) è una religione. E poi al King Power Stadium, il quale deve il suo nome al gruppo thailandese che gestisce i duty free degli aeroporti, l’atmosfera è piacevolmente d’altri tempi, con cori spontanei per buona parte dei 90 minuti di gioco. Qui vale e sempre varrà il principio molto inglese del “Support Your Local Team”, fai il tifo per la squadra della tua città, come ci conferma Henry, abbonato da 30 anni alle Foxes. Lui c’era nel 2008-09, quando il Leicester finì addirittura in terza serie, ovviamente in quell’incredibile 2015-16 e c’è ancora adesso. “Tutto sommato per una realtà come la nostra anche un settimo posto (posizione attualmente occupata dalla squadra, ndr) è un grande risultato! Tranquillo, siamo tornati con i piedi per terra, per noi quel che conta è sostenere i nostri ragazzi. Poi se si ripetesse qualche miracolo…”, chiosa in maniera allusiva Henry.

Last but not least, a proposito dei supporter del Leicester, due ore prima dell’inizio delle partite casalinghe un gruppetto si ritrova davanti al King Power Stadium per raccogliere donazioni per le food bank, le banche del cibo che in Inghilterra sono sempre più indispensabili per sopperire a un welfare state ormai messo in ginocchio da anni di governi conservatori. Perché, come recita uno dei murales, Leicester è “Football United”.