Quando lo scorso 11 aprile il Corriere lanciò la proposta «Quota 102» nessuno si sarebbe aspettato che sei mesi dopo Mario Draghi l’avrebbe usata per quietare la Lega, orfana del suo cavallo di battaglia.

IL DEMIURGO DELL’ENNESIMO obbrobrio pensionistico è lo stesso di Quota 100: Alberto Brambilla. Il presidente di «Itinerari previdenziali», che ha sempre puntato alla presidenza dell’Inps, nel 2018 si inventò la misura spot che la Lega utilizzò per sostenere – in totale malafede – di aver «cancellato la riforma Fornero». In realtà il governo gialloverde del «cambiamento» non cambiò alcunché: la Fornero tornerà quasi totalmente dal primo gennaio riportando l’età di pensione a 67 anni – la più alta d’Europa – proprio a causa della decisione di fare di Quota 100 un «esperimento triennale» che si è rivelato un fragoroso flop. Doveva mandare in pensione un milione di persone – di cui metà doveva essere sostituita al lavoro da giovani – e invece ne ha mandati meno di un terzo. Come mostra la tabella dell’Osservatorio Previdenza della Cgil guidato da Ezio Cigna, doveva costare 21 miliardi e invece il «basso tiraggio» ne ha fatti risparmiare quasi 7, già utilizzati dai governi Conte e Draghi per finanziare altri comparti di bilancio, a partire dal Reddito di cittadinanza. Un grande classico degli interventi sulle pensioni: basti pensare che la riforma Fornero del 2011 ha prodotto (e produrrà) risparmi per oltre 20 miliardi, finiti a riduzione del debito pubblico.

ALLA FACCIA DELL’OCSE che anche ieri sosteneva come «l’Italia spende per pensioni molto di più rispetto agli altri paesi Ocse e questo penalizza i giovani», l’incidenza delle pensioni sul Pil è calata fino al 2018 e il principale effetto del tormentone Quota 102 è stato quello di far sparire dal dibattito la «pensione contributiva di garanzia», proposta che permetterebbe – con un costo inferiore e spalmato su molti più anni – a giovani e precari di avere un assegno dignitoso, riempiendo i buchi contributivi delle generazioni che hanno subito lo tsunami precarietà in questi decenni.

QUOTA 102 NEL 2022 e Quota 104 nel 2024 saranno un altro flop. Draghi e il ministro Daniele Franco ne sono totalmente consapevoli e c’è da scommettere che stiano già valutando su quale altro capitolo di bilancio dirottare i risparmi della copertura, stimati nel Documento programmatico di bilancio in 601 milioni nel 2022; 451 milioni nel 2023; 507 milioni nel 2024.

Se con Quota 100 (62 anni di età e 38 di contributi) sono sostanzialmente stati premiati i dipendenti pubblici uomini, la platea per Quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi o 63 e 39) sarà ancora più ristretta, fatta principalmente di dirigenti pubblici con alti stipendi, non certo di lavoratori e ancor di meno lavoratrici con salari bassi, pochi anni di contributi e lavori pesanti.

ED È PER QUESTO CHE IERI i sindacati – per molti disinformati commentatori a favore – hanno criticato aspramente la misura. «L’ipotesi di Quota 102 o 104 sarebbe una vera e propria presa in giro perché nessun lavoratore e nessuna lavoratrice potrebbe accedere a quella misura», attacca il segretario confederale della Cgil Roberto Ghiselli. «Quota 102 è una beffa; unita a quota 104 fra due anni diventa un vero e proprio sfottò per milioni di lavoratori – gli dà man forte il segretario confederale della Uil Domenico Proietti – . La platea interessata da questa “geniale idea”, infatti, è di poche migliaia di persone che hanno già avuto la possibilità di andare in pensione con Quota 100. È invece necessario introdurre una flessibilità di accesso alla pensione diffusa intorno a 62 anni – conclude -, utilizzando l’ottimo lavoro svolto dalla commissione istituzionale sui lavori gravosi» che ha individuato 27 nuove mansioni da includere nell’Ape social. «L’unico modo serio di parlare di pensioni è quello di aprire un vero tavolo di confronto con il sindacato: questo ci aspetteremmo dal governo», chiosa Ignazio Ganga della Cisl.

IL GRANDE RIMOSSO dell’allucinante dibattito in corso sulle pensioni è l’effetto sociale della riforma Fornero a partire dagli esodati ancora rimasti, costati già ai vari governi 12 miliardi per le varie salvaguardie che ne hanno mandati in (meritata) pensione la non totalità. Martedì il comunicato di palazzo Chigi e ieri il testo del Documento di bilancio parlavano di «interventi in materia pensionistica per assicurare un graduale ed equilibrato passaggio verso il regime ordinario». Dunque il governo pur di non citare la riforma Fornero già la considera qualcosa di inciso nella costituzione materiale del paese. Figuriamoci se vuole modificarla.