«Semplificare, accelerare, sburocratizzare». Nel giorno che segue il travagliato varo del dl Rilancio l’attenzione delle forze di maggioranza, più che sui contenuti universalmente esaltati, si concentra sulla traduzione in moneta sonante. Il più esplicito, su Fb, è Zingaretti: «Nell’attuazione sinora hanno prevalso burocrazia, ritardi e sottovalutazioni. Sono riemersi vizi e limiti di uno Stato che spesso non funziona. Se ne parla molto ma non si riesce a cambiare». Di Maio concorda: «Speriamo di sburocratizzare tante cose che hanno impedito di far arrivare i soldi nelle tasche». Questa del resto è la richiesta corale che parte da tutte le associazioni di categoria e dai sindacati, scottati dall’esperienza dei decreti precedenti.

NON SIGNIFICA CHE il merito del decreto sia passato in giudicato. Su un testo così pieno di norme il passaggio parlamentare sarà combattuto su diversi punti, anche se per ora solo LeU, con i capigruppo Fornaro e De Petris, annuncia la presentazione di emendamenti per correggere «gli squilibri» di un testo che non si occupa abbastanza degli ultimi ma in compenso garantisce il taglio dell’Irap anche alle imprese che nella crisi non hanno perso o hanno addirittura guadagnato. Sul capitolo sostegno agli autonomi torna invece Gualtieri. Per aprile resteranno 600 euro, indirizzati in automatico alla platea che li ha già ricevuti per marzo, forse un po’ allargata. Per maggio, però, dovrebbero salire sino a mille euro depennando però quelli che di un sostegno non hanno bisogno e correggendo così uno degli squilibri denunciati da LeU.

MA LA PARTITA PRINCIPALE, soprattutto agli occhi del Paese, Conte se la giocherà davvero sulla capacità di fare presto. Un passaggio importante, quello che riguarda le casse integrazione in deroga, è già contenuto nel dl. I datori di lavoro faranno domanda direttamente all’Inps, aggirando così la palude delle Regioni. L’Inps, secondo gli auspici, dovrebbe a quel punto erogare il 40% anche del pregresso entro 15 giorni mentre il saldo arriverà più tardi, dopo la presentazione della documentazione completa. Forse si eviterà così, almeno in parte, il buco nero delle Cigs ma restano in sospeso capitoli altrettanto fondamentali. La documentazione che dovranno presentare i beneficiari dello scarso una tantum che ha sostituito il reddito d’emergenza, per esempio, e i tempi di erogazione, che per chi è senza un soldo da marzo è questione vitale, o il nodo ancora irrisolto dei crediti delle banche alle aziende.

LE CRITICHE dell’opposizione, oltre agli strilli sguaiati contro le regolarizzazioni, peraltro ancora insufficienti, si appuntano sulla scarsa progettualità del dl. Manca un’idea di ripresa sostengono non solo la destra ma anche parecchi economisti e, a voce altissima, Italia viva. Il decreto, come ammette per Iv Rosato, è in effetti del tutto «emergenziale». Questi 55 miliardi non basteranno neppure a fronteggiare le urgenze immediate, figurarsi per avviare una politica industriale di rilancio. Ma quel capitolo non può neppure essere aperto senza che sia prima chiarito cosa farà la Ue. I segnali, da quel punto di vista, non sono troppo confortanti. Il Recovery Fund è ancora una scatola vuota. La proposta della presidente von der Leyen, inizialmente fissata per il 6 maggio, continua a slittare per l’impossibilità di risolvere i nodi più aggrovigliati, la scelta tra la percentuale del fondo costituita dal prestito e quella dal sussidio a fondo perduto, i termini del prestito, il negoziato in panne sul bilancio europeo.

Gli applausi unanimi riservati dalla maggioranza al decreto non devono però trarre in inganno. La battaglia delle ultime settimane lascia cicatrici profonde. I 5S sono stati sconfitti su quasi tutti gli elementi portanti. Sbandierano come unica vera vittoria l’ecobonus fiscale del 110% sulle ristrutturazioni, cavallo di battaglia del Movimento sin dalle origini. Ma la ferita più profonda è politica. Sul dl si è consumato una sorta di divorzio definitivo tra i 5S e il premier, schierato con il Pd nelle trattative durissime sui migranti, sul reddito di emergenza, sulle banche. Quel rancore potrebbe con facilità esplodere al momento di prendere la decisione sin qui rinviata sulla linea di credito del Mes. Ieri la Francia ha annunciato che non accederà al prestito. Portogallo, Spagna, Grecia e Irlanda lo avevano già fatto. L’Italia sarebbe l’unico Paese ad accettare il prestito: un quadro destinato a moltiplicare le resistenze di un M5S in cerca di rivincita.