La strage di Srebrenica è iniziata subito dopo l’occupazione della città da parte dei combattenti serbi della Republika Srpska, guidati dal generale Ratko Mladic, l’11 luglio 1995. Si è trattato di un crimine premeditato e organizzato, come è stato dimostrato al Tribunale penale internazionale de L’Aja per i crimini nell’ex Jugoslavia, con spostamenti anticipati di numerosi bulldozer per scavare le fosse comuni.

Le vittime ammontano a 8.372 musulmani, in pratica tutti i prigionieri maschi. Dopo la guerra, Belgrado ha riconosciuto il crimine e chiesto scusa alla comunità musulmana di Bosnia, incriminando alcuni responsabili della strage.

Solo pochi mesi dopo il massacro finiva la guerra civile in Bosnia con gli accordi di Dayton, che hanno spartito il paese in due entità, una Federazione croato-musulmana e l’altra serba (la Repubblica serba di Bosnia), con ampia autonomia.

È terminato così un conflitto provocato dalla provocatoria dichiarazione di indipendenza da parte della leadership fondamentalista islamica del paese, che ha voluto ignorare le obiezioni della popolazione serba, un po’ meno della metà della popolazione del paese. La guerra civile bosniaca fin dall’inizio era caratterizzata da una serie continua di stragi di civili da ambedue le parti. In alcuni casi, come nel massacro di Markale (al centro di Sarajevo) dell’agosto 1995 (37 morti e 60 feriti), i serbi hanno accusato i musulmani di non aver esitato di bombardare con colpi di mortaio la loro stessa popolazione in modo da accusare gli avversari e provocare l’intervento militare della Nato.

L’attacco a Srebrenica mirava a eliminare l’ultima enclave, al confine con la Serbia. La ferocia criminale della rappresaglia è difficilmente comprensibile, anche se forze musulmane rifugiate nella città protetta dalle Nazioni unite – i Caschi Blu del contingente olandese sono stati condannati proprio per questa «inadempienza» nella protezione – avevano esasperato i serbi attaccando per mesi i vicini villaggi, uccidendo e terrorizzando i civili. Le ripetute proteste di Belgrado alle Nazioni unite non avevano prodotto alcuna reazione dei circa 600 Caschi Blu olandesi, rimasti inermi anche su questo e perfino dopo la caduta di Srebrenica.