Secondo l’Employment Outlook 2021 reso noto ieri a Parigi dall’Ocse, dopo il Covid 19 l’Italia tornerà al tasso di occupazione precedente alla crisi nel terzo trimestre dell’anno prossimo, il 2022. Se specifichiamo i dati, e li compariamo con quelli dei maggiori paesi europei, possiamo renderci conto di cosa realmente questo significa. Ad aprile 2021, dopo un anno di pandemia, per l’Istat il tasso dell’occupazione in Italia era risalito appena al 56,6%, Nel 2019, un anno prima della crisi, era al 59,2%, La drastica diminuzione è comprensibile. È il minimo che può accadere visto che solo nell’ultimo anno hanno perso un lavoro almeno 945 mila persone, ricorda anche l’Ocse nel suo rapporto. Si tratta perlopiù di precari, giovani e donne non dipendenti, part time, intermittenti. Questa è l’emergenza sociale di cui non parla nessuno in Italia, mentre si aspetta l’apparizione del miracolo e si accendono i ceri sull’altare della famosa «crescita».

Bisogna anche sapere che un tasso di occupazione come quello italiano è uno dei più bassi tra i 37 paesi afferenti all’Ocse. Il tasso del 2019, il famoso 59,2%, fu festeggiato come una straordinaria conquista. Ma basta uscire mentalmente dall’informazione politica tossica che gioca con i numeri come con i birilli per rendersi conto che quel numero era inferiore a quello della Grecia. E i paesi con un capitalismo più strutturato a che livello sono? La Germania, alfa e omega del capitalismo sociale di mercato per le italiche «élite» , si è attestato su una media del 76%. Questo significa che in Italia il lavoro è poco, si lavora sempre peggio e si è pagati sempre di meno. Insomma il perimetro entro il quale può svilupparsi nuova occupazione, quella di cui parlano con gli investimenti del «Piano di ripresa e resilienza» fino al 2026, è nettamente inferiore rispetto alla media Ocse. Questa situazione è il risultato di una deliberata scelt che ha portato a rinunciare a politiche industriali e sociali, preferendo la precarizzazione selvaggia, i bassi salari, la rinuncia a ogni forma significativa di innovazione. Gran parte di queste condizioni non saranno affatto cambiate nei prossimi anni. A cominciare dal Jobs Act del Pd e di Renzi che permise nel 2019 di arrivare al modestissimo primato del 59,2% nel tasso di occupazione. Perché? Perché quello sciagurato provvedimento ha messo il turbo al precariato. Tanto più vanno veloci le assunzioni a termine, tanto più dovrebbe crescere l’indicatore. È un’illusione.

È in questo quadro che va spiegato anche il primato tutto italiano della disoccupazione giovanile. Ieri l’Ocse ha ricordato che era al 28,7% ed è al 33,8% (gennaio 2021). Come mai? Nel paese del precariato di massa, e a vita, sono i meno tutelati ad essere massacrati per primi e per più tempo. E questo senza considerare il fatto che gli under 29 sono tra i meno occupati d’Europa. Pesa anche la pandemia che li ha costretti, senza tutele di base come un reddito, a restare fermi. Nel boom di 717 mila inattivi che non cercano lavoro ci sono anche loro