Dopo la straordinaria manifestazione antirazzista dello scorso 20 maggio, con più di 100 mila persone in marcia per dire sì all’accoglienza, Milano si è meritata un’estate tranquilla sul versante della gestione del fenomeno migratorio. La situazione rimane al limite, ma di “emergenza” non c’è traccia. Del resto non c’è mai stata, anche a fronte di un afflusso straordinario che più volte ha costretto il Comune di Milano a fare la stessa parte che adesso sta facendo la sindaca di Roma Virginia Raggi, anche se con toni più eleganti: negli ultimi tre anni in città sono transitati circa 110 mila richiedenti asilo e non sono mancate giornate difficili. Soprattutto per i migranti. Oggi sono un ricordo. Questo clima da pace sociale si deve in parte anche alla buona stampa di cui godono il sindaco Beppe Sala e il fantomatico “modello Milano”, che piace anche al ministro Marco Minniti, lo stesso che in segno di riconoscenza ha risparmiato al capoluogo l’orrore di un centro di detenzione per i profughi (lo costruiranno vicino a Brescia).

I numeri variano quotidianamente ma oggi la città accoglie circa 3.600 richiedenti asilo, più altri 500 a Bresso (alle porte di Milano) e circa 400 sparsi nei comuni dell’hinterland. In totale fanno 4.500 persone ma per il Viminale si deve fare di più: servono almeno altri 500 posti per arrivare a quota 5 mila su tutta l’area metropolitana. Sono cifre che trainano l’intera Lombardia che si accredita come il territorio più “accogliente” d’Italia (restando ai numeri): secondo il piano di distribuzione, la Regione di Roberto Maroni – volente o nolente – dovrà passare da 25 mila a 28 mila posti disponibili (il 13% dei 180 mila richiedenti asilo vive in Lombardia).

E’ “distribuzione” la parola chiave che spiega il meccanismo per gestire l’aumento dei flussi previsto per il 2017. Lo scrive anche l’assessore milanese Pierfrancesco Majorino per dare una lezione ai cinque stelle romani: “Raggi dice al governo: limitare la presenza dei migranti a Roma e si ferma lì. Bisogna dire: distribuirli di più su tutto il territorio (non solo nelle solite città e Milano ha fatto molto più di Roma se vogliamo entrare nel merito), premiare l’accoglienza diffusa (in piccoli centri), potenziare l’integrazione (formazione, lingua, attività volontarie)”.

Il piano della distribuzione nell’area metropolitana milanese è stato siglato un mese fa dal ministro Minniti. Su 134 sindaci, 76 si sono detti disponibili ad accogliere i migranti entro la fine dell’anno secondo una ripartizione stabilita in base al numero dei residenti: tre profughi ogni mille abitanti per un totale di 5 mila persone. Il protocollo dovrebbe funzionare, sempre che al dunque – quando i migranti verranno effettivamente distribuiti – non vada a sbattere contro le prevedibili resistenze dei comitati agitati dai soliti razzisti di professione in campagna elettorale. Ci avevano provato lo scorso marzo anche per ostacolare l’accoglienza di 300 profughi alla caserma Montello, sempre a Milano: oggi, nonostante sia un grande insediamento, quello è un altro modello di integrazione riuscita grazie al lavoro di associazioni, centri sociali e ciò che resta della sinistra diffusa ancora capace di mobilitarsi.

A proposito: il 29 giugno presidio a Palazzo Marino per chiedere a Beppe Sala il riconoscimento della residenza alle persone che già dimorano sul territorio comunale ma sono impossibilitate a trovare un alloggio. Migranti e non migranti. Si tratterebbe di un atto amministrativo che faciliterebbe l’accesso a servizi di base come scuola, sanità e lavoro. Dopo le belle parole del 20 maggio, qualche fatto non guasterebbe. Nemmeno il clima.