Temo che non faremo molti passi in avanti finché continueremo a raccontarci, di fronte ai disastri territoriali, la storia della «casta» che si annida, nel caso dell’ultima tragedia genovese, nella presunta sinistra radical chic impersonificata dal sindaco Marco Doria.

Non faremo molti passi in avanti verso la diffusione di quella consapevolezza critica che occorre affinché questioni così gravi siano una volta per tutte affrontate alla radice. Tocca certo alla politica risolverle. E tocca al sistema mediatico raccontarle. Ma ho l’impressione che all’inettitudine della prima risponda sempre più spesso la superficialità del secondo.

Una previsione meteo sbagliata, l’allerta mai data e un allarme scattato verso mezzanotte e diffuso con una procedura limitata quando l’esondazione del Bisagno aveva già fatto l’ennesima vittima non possono, non devono, inchiodare al crocefisso l’amministrazione comunale e il suo sindaco. La rabbia di un abitante, di un commerciante, per l’ennesima distruzione può istintivamente portare a rivalersi sull’interlocutore più prossimo. E Doria si è confrontato con i cittadini, dichiarando da persona onesta e per bene qual è che si sarebbe dimesso se solo questo avesse potuto migliorare lo stato delle cose in città.

Ma vogliamo, una volta tanto, sforzarci di comporre un quadro completo e oggettivo delle cause, delle responsabilità, delle competenze, delle reali risorse messe a disposizione? Vogliamo raccontarle per bene, andando oltre gli stereotipi?

Il capo della Protezione civile Franco Gabrielli dopo aver riconosciuto che il sindaco Doria, pur non essendo stato avvertito per tempo, non si è messo a fare lo scaricabarile, ha dichiarato di sentirsi come chi è mandato al fronte con qualche scatola di aspirina. «Lo Stato non è in grado di tutelare». Ecco da dove partire se si vuole andare al fondo delle cose.

Gabrielli giustamente chiama in causa il governo che nel 2013 si è «dimenticato» di finanziare il Fondo per l’emergenza nazionale, e quando, in ritardo, l’ha fatto ha stanziato solo 70 milioni di euro quando i danni accertati della metà dei disastri territoriali negli ultimi tre anni è di 2 miliardi e mezzo di euro.

Se poi si aggiunge che i 35 milioni stanziati per il torrente Bisagno due anni fa sono bloccati da una burocrazia pre-napoleonica, forse si individuano ragioni capaci di spiegare i fatti più di quanto non faccia l’elencazione dei tic della sinistra radical chic.

Aggiungo che ci sentiamo assai vicini a Marco Doria e crediamo, pur nella sua autonomia, anche lui a noi, a Sinistra Ecologia Libertà, una forza politica che pone il tema del risanamento idrogeologico come una grande questione nazionale.

C’è qualche traccia di tutto questo nell’agenda del governo, di questo come di quelli che lo hanno preceduto?

Non c’è solo Genova. C’è l’area vesuviana, quella flegrea, e si può dire che non vi sia parte d’Italia che non abbia necessità di cura e manutenzione costanti come antidoto vero alla puntualità stagionale delle tragedie.

E come si può, infine, chiedere ai comuni di risolvere da soli, con le loro poche risorse, una questione che è dell’intero paese e chiama in causa una volontà, una politica che dev’essere prima di tutto dello stato in quanto tale.

* l’autore è deputato di Sel