Che la Storia avesse ripreso il suo cammino nei Balcani, era evidente già da tempo. II colloquio telefonico tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e l’omologo croato, il neoletto Zoran Milanovic, ha impresso a quel cammino una netta accelerazione. Secondo quanto riportato dal settimanale croato Nacional, i due capi di Stato avrebbero discusso varie questioni regionali tra cui quella spinosa della modifica degli accordi di Dayton che misero fine alla guerra in Bosnia-Erzegovina nel 1995.

All’indiscrezione di stampa hanno fatto eco le parole dell’Alto rappresentante per la Bosnia, l’austriaco Valentin Inzko. Il “guardiano degli accordi di pace” ha sottolineato l’urgenza di rivedere i trattati anche alla luce della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Sejdic-Finci dalla cui pubblicazione sono trascorsi dieci anni. Anni in cui Sarajevo non ha mai dato attuazione alla sentenza che giudica come discriminatorio l’assetto istituzionale creato da Dayton.
Negli undici allegati di cui sono composti gli accordi, il quarto contiene la Costituzione della Bosnia-Erzegovina che struttura il Paese in due entità, la Federazione croato-bosniaca e la Republika Srpska (a maggioranza serba, ndr) e individua tre popoli costitutivi – bosgnacchi, croato-bosniaci e serbo-bosniaci – che condividono il potere. Il sistema di ripartizione su base etnica ha avuto come effetto quello di acuire ancor più le divisioni emerse dalla guerra e di impedire la costruzione di uno Stato realmente democratico.
Eppure la sola prospettiva della revisione degli accordi è bastata ad agitare le acque. Dayton 2 sarà la «condanna a morte della Bosnia-Erzegovina» ha tuonato il rappresentante serbo della presidenza tripartita Milorad Dodik a margine di un incontro con il presidente serbo Aleksandar Vucic. L’uomo forte della Republika Srpska ha minacciato la scissione dalla Bosnia qualora siano messi in discussione gli accordi di pace e l’esistenza stessa dell’entità a maggioranza serba. Più moderato invece il commento di Vucic che pur esprimendo il suo dissenso alle modifiche di Dayton, ha lasciato aperto uno spiraglio per il dialogo politico.

Una cosa è certa. La discesa in campo “ufficiale” di Ankara nel risiko bosniaco segna un punto di svolta negli equilibri regionali. Dietro la richiesta turca di modifica degli accordi di pace si cela infatti la necessità di proteggere l’integrità territoriale della Bosnia-Erzegovina, messa in pericolo in questi anni da Mosca più ancora che da Belgrado.

Il Cremlino è in cerca di un riposizionamento nel Paese, avvenuto in parte e per certi versi anche con il benestare della delegazione europea il cui ex capo Lars Gunar Wigemark, vantava una stretta collaborazione proprio con l’ambasciatore russo Aleksander Ivancov. D’altra parte è sempre maggiore la pressione della Nato per inglobare Sarajevo nell’alleanza transatlantica e arginare così le ambizioni russe nella regione. Per ora il prezzo di questa operazione è stato il blocco dell’intero Paese, rimasto senza governo per un anno. Con l’ingresso in partita della Turchia ora quel prezzo potrebbe rivelarsi molto più alto.