È innegabile che la sconfitta di Kiev a Debaltseve, contro «minatori e trattoristi», come ha sottolineato Putin, ha mutato la situazione in Ucraina e non solo.

Ora Poroshenko è «avvelenato» per la sconfitta, mentre la tregua si è paradossalmente rafforzata da un punto di vista militare, ma è diventata più labile da un punto di vista diplomatico. I ribelli hanno annunciato il ritiro delle armi pesanti dal fronte, come stabilito dagli accordi di Minsk.

Gli ucraini ora devono ritirare le proprie milizie: sia quelle regolari, sia i battaglioni. Sorge un primo problema per Poroshenko: costringere i neonazisti ad accettare una sconfitta, non solo sul campo, ma anche diplomatica.

L’obiettivo dei neonazi, infatti, era quello di recuperare totalmente il territorio perso. Stessa speranza di Poroshenko, che ha però anche responsabilità politiche e non può nascondersi di fronte alla realtà. La sconfitta militare ucraina di Debaltseve, infatti, avrà ripercussioni al di fuori dell’Ucraina, su quegli instabili equilibri del mondo multipolare in cui si vive la vera guerra dei nervi tra Stati uniti e Russia. Mercoledì Obama è intervenuto anche nei confronti della Grecia.

Interesse specifico, ma anche un nuovo, ulteriore, segnale al nemico di sempre, Putin, proprio a seguito della sconfitta di Kiev a Debaltseve. E sempre ieri la Gran Bretagna ha soffiato sul fuoco, sostenendo che la Russia sarebbe un pericolo per i paesi baltici, dimenticando l’origine della crisi ucraina, così come i tanti altri campi di confronto tra Occidente e Mosca.