L’Altra Europa italiana che emerge dalla assemblea nazionale di Bologna non assomiglia a Podemos e nemmeno a Syriza.

Non ha scelto la strada della relazione diretta con i movimenti, come è successo in Spagna, né quella di fondere le forze della sinistra nel fuoco dei conflitti sociali, come sta accadendo in Grecia.

Ancora una volta la via italiana all’unità delle sinistre è di profilo meramente politico.

Ciò comporta una faticosa navigazione a vista nel tentativo di rimettere assieme i pezzi separati da mille scissioni dei partiti comunisti e verdi, da una parte, e, dall’altra, una estenuante attesa che i sommovimenti all’interno del Partito della nazione distacchino qualche parte consistente sul lato sinistro.

Ma così operando l’unico risultato perseguibile è quello di costruire cartelli elettorali, utili a sperare al meglio gli sbarramenti dei quorum (risultato nient’affatto disprezzabile, s’intende), ma non certo di contendere a chicchessia la rappresentanza delle masse popolari. Per questo obiettivo servirebbe ben altro.

Mi si dirà che in Italia è così per ragioni oggettive.

Il Pd, contrariamente alle socialdemocrazie europee, non è (ancora) percepito come il responsabile delle politiche neoliberiste. Per contro M5S e Lega hanno saputo convogliare a loro favore molti elementi delle proteste popolari. I movimenti sociali sono frantumati e ripiegati nei loro particolari campi d’azione. Non è emersa una figura di giovane leader.

Altro ancora. Bene, tutte queste sarebbero buone ragioni per radicalizzare e ramificare il processo, spingendolo oltre le secche delle estenuanti mediazioni tra ceti politici.