«Finalmente un segnale diverso, un’inversione di tendenza rispetto alle politiche del rigore che anche quest’anno hanno provocato una riduzione di circa il 2% del Pil, e l’anno scorso del 2,4%, quindi non sono state certamente positive». La Cgia di Mestre vede positivamente l’abolizione dell’Imu da parte del governo. Una decisione che, spiega il suo segretario Giuseppe Bortolussi, potrebbe rappresentare l’avvio della ripresa. «Dà un segnale forte che aiuta l’economia, anche se non è sufficiente».

Resta sempre, però, il problema della copertura.

I soldi ci sono. La previsione di incasso iniziale dell’Imu era 21,4 miliardi di euro, poi hanno tenuto conto dei terremotati e dei beni comunali e si è ridotta a 20,1. Lo Stato ha incassato 23,7 miliardi, cioè 3 miliardi e 600 milioni in più. Poi il governo Monti ha aggiornato la finanziaria all’ultimo momento, calcolando un incasso di 22,5 miliardi, ma comunque sempre un miliardo in più è entrato nelle casse. Nel caso quest’anno si dovesse pagare l’ultima rata (il governo lo deciderà entro il 15 ottobre, ndr) basterebbe mettere una franchigia di 600 euro e pagherebbero solo i proprietari di case di un certo pregio, il 15% del totale, garantendo un incasso di 1,9-2 miliardi di euro. Ecco che i soldi ci sono. Senza parlare, poi, delle pensioni d’oro che andrebbero abolite e della cedolare secca sugli affitti, che rimodulata consentirebbe allo Stato di ricavare almeno un altro miliardo di euro. Non è poco.

Non rischiamo l’anno prossimo di pagare l’Imu sotto forma di Service tax?

Dobbiamo stare attenti e fare in modo che non succeda. E ci sono i presupposti perché non succeda.

Quali presupposti?

Il 2 maggio scorso, durante un’audizione parlamentare, il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ha detto che l’essere usciti dalla procedura d’infrazione per deficit eccessivo ci dà la possibilità di avere 8-10 miliardi a disposizione. Di questi soldi 2 o 4 miliardi possono essere spesi tranquillamente per l’Imu e 4 per l’Iva, proprio per dare un segnale diverso. Perché ripeto: le aziende non producono per i magazzini o per accumulare scorte. Se la gente non consuma, e questa è una crisi di consumi, le aziende lasciano a casa le persone.

C’è però chi protesta. Gli inquilini, ad esempio, temono di dover pagare di più.

Non credo che sia un rischio reale. Sarebbe un’ingiustizia talmente palese… Ripeto: in un paese in cui ci sono le pensioni d’oro, la cedolare secca, i soldi scudati al 5% che facciamo, ce la prendiamo con i più deboli? E comunque se dovesse succedere, così come c’è stata una levata di scudi sull’Imu e sull’Iva ci sarà anche sugli inquilini. Vede questo governo ha tanti difetti, ma secondo me Letta a queste cose ci sta attento, se non altro per sopravvivere.

A proposito di Iva, l’aumento di un punto sembra inevitabile.

Per me non lo è. Fa parte del pacchetto Imu, deve essere garantito che non ci sarà nessun aumento. E serve anche una rimodulazione della Tares, perché la gente non se ne rende conto ma per le aziende spesso la Tares è tre volte l’Imu, spesso in maniera anche ingiustificata rispetto alla massa dei rifiuti prodotti e dei servizi dati. L’aumento dell’Iva secondo me non è inevitabile perché come abbiamo visto i soldi ci sono. Ripeto: è importante dare un segnale di ripresa dei consumi, della volontà di crescere.

Anche perché se l’Iva aumenta a pagare sarebbero ancora una volta le famiglie meno abbienti, che vedrebbero ulteriormente ridotto il loro potere di acquisto.

Certamente. I consumi alimentari rappresentano per i ceti più poveri anche l’80% della spesa, mentre per le famiglie abbienti appena il 20%. Chi possiede un reddito basso e una famiglia numerosa spende tutto e non risparmia niente, mentre uno che guadagna abbastanza può permettersi di non comprare determinati articoli e quindi di risparmiare. Su questi ultimi l’aumento dell’Iva ovviamente inciderà di meno. Sembriamo una repubblica sudamericana, molto bene intenzionata a premiare i ricchi penalizzando i più poveri.