La querelle «lessicale» se il Caspio debba essere definito un mare o un lago risale perlomeno all’impero romano e non c’è da dubitare che proseguirà ancora nel futuro. Domenica però nella città kazaka di Aktau i leader dei cinque paesi (Russia, Iran, Azerbaigian, Kazakistan e Turkmenistan) bagnati dal più grande bacino d’acqua chiuso del mondo hanno definito la cornice del suo status giuridico-politico. L’accordo, che avrà importanti ripercussioni geopolitiche ed economiche, è stato definito da Vladimir Putin «epocale».

Si è trattato di un parto difficile: la trattativa tra i cinque durava da 26 anni e l’origine del contenzioso risaliva addirittura al crollo dell’Urss. Durante l’era sovietica, lo statuto del Mar Caspio era regolato dai trattati sovietico-iraniani del 1921 e del 1940, che dichiaravano il mare «proprietà comune» dei due Stati. Le questioni su delimitazioni, uso del fondo marino e attività militari non erano regolamentate. I negoziati sullo statuto del Caspio iniziarono nel 1992, poco dopo il crollo dell’Urss e la formazione di quattro dei cinque Stati ex-sovietici indipendenti del Caspio.

L’Azerbaigian originariamente aveva proposto di dividere le acque e le risorse in settori nazionali ed era l’unico paese che si era assicurato il diritto alla sua parte nella costituzione del 1995. Successivamente Baku si avvicinò a Mosca e Astana che credevano fosse necessario lasciare le acque all’uso comune.

Il Caspio con la convenzione firmata dai «Cinque del Caspio» beneficerà ora di uno «status legale speciale»: «Non sarà né mare, né lago», ha dichiarato il vice ministro russo degli esteri Grigory Karassin. Un colpo al cerchio e uno alla botte in cui si mette per iscritto che «le acque territoriali saranno di 15 miglia nautiche per ogni paese. Di 10 miglia saranno quelle per la pesca».

Ma l’oggetto del contendere tra i cinque era prima di tutto costituito dalla questione dello sfruttamento del fondo marino dove, secondo Forbes, sarebbero custoditi giacimenti stimati in 50 miliardi di barili di petrolio e 250mila miliardi di metri cubi di gas naturale.

Per evitare che il delicato equilibrio su questo punto potesse saltare è stato definito per ora solo che lo sfruttamento delle risorse avverrà in comune, rimandando i dettagli tecnici a successivi approfondimenti.

La convenzione chiarisce un altro dei problemi chiave: i paesi potranno posare pipeline lungo il fondo del Mar Caspio e ciò avverrà a discrezione del solo paese attraverso il cui gasdotto passerà. Ciò apre la porta per la costruzione del gasdotto Trans-Caspio dal Turkmenistan all’Azerbagian.

Un progetto mai piaciuto a Mosca e a Tehran poiché darebbe all’Europa una vera alternativa al gas russo e alle potenziali esportazioni di petrolio iraniane, attraverso l’accesso al gas turkmeno (la quarta più grande riserva del mondo). In cambio russi e iraniani hanno però ottenuto non solo che non ci possano essere presenze di forze armate di paesi terzi nell’area del Caspio, ma persino la definizione una sorta di alleanza militare sui generis tra i cinque Stati.

La Russia e l’Iran quindi potranno dispiegare al meglio le loro forze militari nel Mar Caspio. Come ha voluto maliziosamente sottolineare il moscovita Kommersant, «il ministro della difesa russo Sergey Shoigu ha subito annunciato l’intenzione di trasferire la principale base della Flotta del Caspio da Astrakhan a Kaspiisk».

L’accelerazione delle trattative per chiudere l’accordo – a costo di cedere qualcosa sulla questione dei gasdotti – è stata fortemente voluta da Russia e Iran a partire dalle crescenti tensioni con gli Usa.

Ad Aktau Putin e Rouhani hanno trovato modo di ritagliarsi un paio di ore per un colloquio a quattr’occhi. Al termine il leader iraniano ha speso parole zuccherose per il presidente russo: «Sono molto lieto del fatto che di anno in anno le nostre relazioni bilaterali si sviluppino solo in una maniera positiva», ha dichiarato. Intanto la Russia ha informato ufficialmente qualche giorno fa di aver spedito in Iran una nuova partita di uranio.